“BRACCIANTI” – Quando il teatro si fa “custode di Memoria”

Grazie all’impegno e alla tenacia dei ragazzi del Teatro Comunale di Ruvo di Puglia, che hanno fortemente voluto la rappresentazione, la compagnia Armamaxa Teatro porta in scena, nel piccolo grande polmone culturale della nostra città, lo spettacolo “Braccianti – La memoria che resta”.


Il Progetto Braccianti nasce da un’idea di Enrico Messina e Micaela Sapienza  – anche attori dello spettacolo–  nel 2001. Nel momento in cui si è avvertito fortemente che il mondo si avviava verso un cambiamento repentino, la loro reazione è stata quella di tentare di conservare la memoria del nostro passato, fissarla e raccontarla attraverso il teatro.

Gli autori hanno scelto di dare nuova voce, sul palcoscenico, ai tanti, tantissimi braccianti che hanno popolato, lavorato, coltivato, animato con le loro rivolte il Tavoliere delle Puglie fino agli anni ’70 del secolo scorso.  

Lo spettacolo affascina sin da subito, e i due attori, nei panni di braccianti cantastorie del loro tempo e delle loro vite, raccontano, semplicemente raccontano, le giornate trascorse nei campi, quando si doveva lavorare, maltrattati, “da sole a sole”, dall’alba al tramonto, o di quando la mattina si aspettava in piazza che il padrone scegliesse chi portare a lavoro, e di quando la notte anche se stanchi e quasi digiuni, non si dormiva per ascoltare le storie, sempre le stesse, attorno al fuoco. 

E infine ecco il momento delle rivolte sindacali, i braccianti occupano i campi, Giuseppe di Vittorio, cappotto e cappello a tesa larga in testa – come solo i padroni potevano vestire- ridà fiducia ai suoi compagni facendo capire che sì, tutti gli uomini sono uguali, con pari diritti, anche braccianti e padroni.

Su una scenografia semplicissima, un telo, quatto sedie, alle parole degli attori si mescolano, registrate, le parole, le canzoni e i dialetti degli anziani, testimoni  di quegli eventi. Voci dolcissime di coloro che sono incaricati di “conservare e custodire il Tempo”.

E, magia del teatro, solo del teatro, le parole diventano concrete, tutto ciò che viene raccontato si muove e rivive nella nostra immaginazione.

La concretezza è però anche sulla scena, dove alle parole si mescola la danza, e i corpi dei due attori, modellati dal meraviglioso disegno delle luci, mostrano l’estenuante fatica del lavoro nei campi. 

E concrete e potenti sono anche le foto che, proiettate sul telo bianco, diventano scenario delle vicende: braccia che dissodano la terra, grandi occhi cerchiati dalle rughe e da spessi occhiali, mani con solchi profondi che – immagine bellissima – diventano la mappa su cui descrivere il Tavoliere delle Puglie.

I racconti continuano ad inseguirsi ma non stancano affatto, e alla fine si capisce come la figura del bracciante di ieri può essere affiancata all’immigrato di oggi, al lavoratore in nero, magari sottopagato, ai tanti braccianti stranieri che oggi lavorano le terre pugliesi.
 
Spettacolo sempre straordinariamente attuale, anche ad 11 anni di distanza dalla prima rappresentazione.
Braccianti è un’opera che ha la forza necessaria per colpire quel punto degli animi a cui gli autori si erano proposti di arrivare. Se agli adulti ha fatto tornare alla mente storie di cui erano per lo più a conoscenza, spero abbia risvegliato anche il desiderio di tramandarne il ricordo. 

E se per i giovani, come è accaduto per me, questo atto della Storia della nostra terra era sconosciuto, mi auguro si faccia tesoro di questa esperienza. E si continui a scavare nella storia per aggiungere altri particolari e altri racconti a quelli appena ascoltati. Perché il presente acquista un senso, molto spesso, solo grazie al passato.

E perché il Teatro, oltre a regalare un’ora di distensione, magari di evasione – in alcuni casi, come in questo, diventa esso stesso custode di memoria, e soprattutto Insegna.  

“Braccianti” ci comunica non solo le esperienze del passato, ma soprattutto il valore che ha il Ricordare.

In maniera molto significativa, Enrico Messina, alla fine dello spettacolo, accanto ai suoi ringraziamenti, racconta alla platea di essere stato di recente a L’Aquila, ed esorta tutti non dimenticare che la città è ancora, purtroppo, un cumulo di macerie.


Mariangela Berardi