La Murgia Milionaria. Dieci ore di marcia su un Mare Che Non C’è – Più



In un dieci maggio che per me è sempre speciale; perché quest’anno è Festa della Mamma ma per me lo è sempre, perché è il compleanno della mia, di mamma, ovunque sia – mi sono avventurato con gli amici del Gruppo Speleologico in una lunga, faticosa ma esaltante marcia nella Murgia milionaria (in anni).

Dieci ore di marcia su sentieri impervi e scoscesi, su altopiani e scogliere senza più mare, in cima a vecchie rocche dimenticate o in fondo a miniere abbandonate di un rosso abbagliante, in un paesaggio spettacolare, unico al mondo.

Ma anche un lungo viaggio nelle incredibili contraddizioni del presente. Nelle tracce del profondo e duraturo malgoverno di cui siamo sventuratamente figli.

Le dighe fantasma, i soldi buttati, le scelte cervellotiche. Scelte distruttive che sono piuttosto una costante che un’eccezione, nella nostra Storia secolare e millenaria; una lunga torta di spreco, servitù e clientelismo, parassitismo e sfruttamento, su cui la dabbenaggine e la malversazione attuali, degli ultimi decenni, sono solo la ciliegina.

Ho conosciuto ancora più da vicino la passione sconfinata di questi eterni ragazzi innamorati del loro territorio, che tengono vivo e danno senso a un Parco altrimenti mero carrozzone come tutto il resto. Un parco in cui non trovi un segnale che è uno; un punto di dissetamento e/o ristoro che sia uno. Un cartello. Un addetto. Persino un sorvegliante. Il nulla più assoluto.

Per decine di chilometri e presumibilmente per tutto il Parco. Tutto è ancora allo stato brado. 

Persino la zona delle esercitazioni militari non è in alcun modo segnalata. Potresti tranquillamente finire in bocca a un carro armato, fosse per loro. Per fortuna è festa e oggi non si spara. Potenza della Mamma.

Eppure ha tutte le potenzialità per diventare un Parco delle Meraviglie.

E dov’è allora il problema? In funzionari scelti per meriti di partito e non per competenze? Nella longa manus delle pubbliche amministrazioni? Burocrazia? Arraffismo imperante? Vuotismo progettuale dietro pompose (e costose) etichette?


Non ho elementi, ad oggi, per sciogliere il rebus. Non è difficile supporre un po’ di tutti questi fattori.

Fatto sta che, se l’Ente parco dovrebbe essere il cuore dello sviluppo territoriale, come assolutamente può (e deve) – non si può non rilevare che al momento, con ogni evidenza, quel cuore non ha neanche cominciato a battere.

Ho provato a raccontare nella videostoria allegata alcune delle emozioni della giornata. Ci sarebbe molto altro.

Ma non posso chiudere senza ricordare che tutto questo è stato possibile per la dedizione, per la cortesia e l’organizzazione di una delle tante associazioni di volontariato non solo ruvesi, la cui sola azione impedisce che il parco sembri il cadavere che è.

A queste associazioni bisognerebbe dare le redini. La gestione delle risorse in base a risultati prefissati. Ma servirebbe non solo un altro parco: servirebbe un’altra Italia.

A questi ragazzi ormai quaranta e cinquantenni senza eredi, che scarpinano e organizzano e pianificano sapendo di essere, amministrativamente ancor più che geo-morfologicamente, in pieno deserto. Di non poter contare se non su se stessi per portare a casa sano e salvo il gregge che siamo.

Quelli del Gsr sono un gruppo affiatato, forgiato dalle difficoltà affrontate insieme. Sempre precisi e pazienti. Pronti ad aiutare gli escursionisti con particolari problemi, che peraltro affrontano stoicamente e senza chiedere sconti tutta la selvaggia impervietà di quello splendore.

Persino il meteo sembra fare uno show di tutte le sue potenzialità, dal sole alla pioggerella, dall’ombrato al ventoso, ma sempre senza esagerare, in un equilibrio quasi miracoloso.

E con tutti i climi, in tutte le condizioni, saltellante come un fringuello nonostante tutto, e nonostante l’ottimo vinello che ci ha offerto – avanti e indietro a recuperare pecorelle smarrite, l’amico Salvatore, forse l’uomo più simile che si conosca all’Albatros di Baudelaire.

Bonaccione, timido, impacciato nella quotidianità urbana, appena è nel suo elemento, la Murgia, dispiega le ali e mostra la potenza del suo volo gigantesco. Fatto non di paroloni, ma di appassionata umanità.

Alla fine, esausti, ci si siede in qualche modo e ancora loro, i ragazzi Gsr, si affannano a grigliare, a preparare bruschette e scamorze.

Salvatore, fresco come una rosa mentre noi ci accasciamo alla meglio, serve il vino a ciascuno, e se la prende scherzosamente se qualcuno, per alleviare la sua fatica, va a prenderselo da solo. A me ne ha versato così tanto che ho ringraziato il cielo mille volte per non dover guidare.

L’amicizia è un valore aggiunto che tutti i ragazzi del Gsr conoscono bene. Ci si sente a casa – persone che in maggior parte non si sono mai viste prima.

Tutto questo a un prezzo davvero ridicolo (ma fate bene a tenerlo basso, perché tutti devono poter aderire), che comprende ben 7 auto, benzina e tutto il resto, la loro guida, il loro tempo, il loro sforzo, la loro responsabilità, senza dimenticare l’abbondante grigliata finale.

In un futuro speriamo non troppo lontano, esperienze come questa dovrebbero essere istituzionalizzate, rese più agevoli e targettizzate a dovere: con professionalità proprio come oggi. Questo significa davvero fare turismo sostenibile, mettendo al lavoro passioni e competenze da cui inevitabilmente si dovrà ripartire.

Nel frattempo, ragazzi, in attesa che diventi vivo – il vero Parco siete voi. 

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