Il viaggio

Godard al Talos


Venerdì 14 Settembre, ore 22.00, arrivo tardi e non ci credo. Luce accesa sugli spalti, soffusa sulla banda e un’acustica come si dice da queste parti: “d Luss!!”. Era come se qualcuno avesse udito le modifiche che ognuno di noi aveva in mente. Noi protagonisti inconsapevoli del Salto.

Entra la Banda. Si accomoda.

Un uomo la dirige. T-shirt nera o di un colore molto simile, pantaloni larghi, di quelli che si reggono al cinto con una molla.

Agita entrambe le braccia disegnando due circonferenze parallele
al suo corpo, e un vortice di percussioni ci investe senza scampo.

Comincia il Viaggio.

Un bisbigliare senza tempo, poi la voce di quattro donne, infine il lamento di mille madri. La rabbia di un giovane seduto al pianoforte, è un tale frastuono, che di ogni nota ne capisco il disagio. Il disagio delle culture del Sud. E il grido di speranza degli ottoni, la rabbia di un futuro che non cambia. E la rassegnazione, il silenzio Assoluto.

Sappiate che l’uomo che dirige è un nobile pazzo. E dagli uomini irragionevoli, non sai mai cosa aspettarti. Si riposa, si piega leggermente verso avanti e poggia le mani sui fianchi. Tira un respiro così ampio, che sembra inghiottire tutto il silenzio del momento. 

Con le mani agguanta la molla al cinto, tira su i pantaloni ormai scaduti, come solo un vero Terrone sa fare, e comincia la danza più carnevalesca che io abbia mai visto. E la banda lo segue. E chi se ne frega della rassegnazione, del dramma. Noi siamo il dramma, ci viviamo. E la miseria non ci spaventa. Questa è una festa dove ognuno riesce a trovare la propria collocazione. Questa è la Terronia.

Io non so mai, quanto posso scrivere, non so se tutto questo annoia. Allora mi limito. Cerco di raccontare quello che più mi ha coinvolto, che più mi ha sconvolto. Ma ho parlato solo di Pino Minafra, di suo figlio Livio, delle Faraualla, della Banda. Se fossi più preparato, parlerei per ore solo della Banda, di ogni suo singolo componente. Chiederò in giro e mi farò spiegare.

Dalla fascia più alta degli spalti, l’ingresso di Godard, in questo strano viaggio, è assimilabile ad un punto azzurro. Mi riferisco alla sua tuba. Sì la sua tuba è Azzurra, credo. Ciò che mi interessa però, non è il colore, ma questo marchingegno che si deve nascondere all’interno dello strumento.

Trattasi sicuramente di un “trasformatore” di fiato e sputi. Questa diavoleria, li assimila per mezzo del bocchino e li elabora attraverso degli interruttori montati ad arte lungo il percorso prestabilito. Ditemi voi se esiste al mondo un altro oggetto che trasforma uno sputo in musica. E’ una stregoneria, senza dubbio.

E il mago, questo Godard, è anche lui un tipo strano, come quello di cui sopra parlavo.

Visto più da vicino, te ne accorgi subito. Tra la laringe e la trachea, con qualche trucco, si sarà innestato una sacca di raccolta d’aria, che si riempie e si svuota, che si riempie e si svuota, che serve sicuramente a spingere gli sputi, una volta trasformati in suono, nell’ultimo tratto del marchingegno. Sto parlando del “dilatatore di volume”. In maniera semplice, è una superficie di rivoluzione, ottenuta ruotando un profilo “a cavetto” generatore, intorno ad un asse di rotazione. Questa forma è necessaria. Permette al suono di mescolarsi con più aria possibile; gli dà volume, appunto.

Si, ma voi mi direte: “Come suona? Vogliamo sapere come suona!!”

Ed io vi risponderò dicendovi che suona da dio!

Tutto ciò che ho scritto prima dell’ultima affermazione su Godard, in realtà è solo una forzatura, un accrocchio superfluo inventato per spiegare una cosa così semplice. Domenica ci sarà ancora Michel Godard. Ascoltandolo sarà tutto più chiaro.

Allora vediamo se ci riesco con Gianluigi Trovesi. Vediamo se riesco ad essere sintetico.

Crea dei nuovi mondi, con nuove stelle e nuove orbite. Ti dà la possibilità di viverci dentro e non ti chiede nulla in cambio. Grazie a lui il viaggio tende all’infinito.


Ivan Iosca

RuvoLibera