LA SLURPARCHIA (Fotto, quindi sono)

Cosa cantava la Raffa nazionale? Ah, sì… Com’è bello far l’amore da Trieste in giù… Mi è venuta in mente a proposito della Slurparchìa, che da Trieste in giù arraffa quanto può, con avidità, per cui potrei parafrasarla così: Com’è bello slurpare da Trieste in giù, passando per la Padania dei cerchi magici, Roma ladrona e caciarona, Bari degli scandali della sanità e delle cozze nere pelose di Emiliano, fino a giungere a Reggio Calabria, e, in Sicilia, a Corleone.

Insomma, l’Italia, il Belpaese, è accomunato, oltre che dalla lingua italiana, dalla corruzione godereccia, che abbia rilievo penale o solo morale è irrilevante ai fini di questa riflessione.

Un triste filo rosso collega il politico nordista che si diletta col bunga bunga, con la Minetti vestita da suora e che ancora siede nel Consiglio regionale della Lombardia, con il “celeste” ciellino Formigoni che, mondanamente, si gode le vacanze pagate da imprenditori amici (che non fanno niente per niente), con i sudisti Gianpy Tarantini e Sandro Frisullo, col vizio della coca e della brachetta.

Gli esempi sono tanti. Sono quotidiani.

Non è il caso di farne una elencazione dettagliata.

Ma chi non ricorda il giornalista prestato alla politica Marrazzo alle prese con i trans? Passerà alla storia come Marrapo.

E vi ricordate di Cosimo Mele, quello dei festini a base di sex, alcol & drugs, parlamentare dell’UDC malgrado che Il 5 gennaio 1999 fu arrestato con l’accusa di aver ottenuto, mentre era vicesindaco di Carovigno, tangenti in cambio di favori nell’assegnazione di appalti pubblici e assunzioni? Mele, sensibile alle rotondità femminili e alla mela del peccato.

Fresche di cronaca giudiziaria le vicende della Bossi Family, di Rosy Mauro, la sindacalista esagitata della Lega, amante di un certo Pierangelo Moscogiuri, autore di una canzone molto fine, Kooly Noody, che passerà alla storia della canzone italiana, quella più becera. Moscogiuri, l’Apicella della Mauro. Persone con tanto di lauree prese a pagamento in Svizzera. Con soldi pubblici.

La gola e la brachetta cementano destre e sinistre, uomini e donne del Nord e del Sud.

Il piacere, direi la lussuria, unisce e poi falcidia. La goduria presenta il conto e non fa sconti. Ci si lecca i baffi e poi dopo le ferite. È matematico. Ma, per quanto sia scontato, trova nuovi accoliti e seguaci, anche fra quanti frequentano le parrocchie. Nuove, future vittime di scandali. Ma, com’è noto, la carne è debole, e questa fragilità ontologica induce alla reiterazione, alla ripetizione, alla emulazione. Il paradigma è il seguente: “mangio, fotto, quindi sono”. Filosofia dello stomaco e delle parti basse, di un’altra testa. Poesia del triviale, fatta di portate di caviale, di fiumi di champagne, di donnine compiacenti, di piste di cocaina, di vacanze in Sardegna, regolarmente a sbafo.

Slurp, voce onomatopeica di provenienza fumettistica. “Voce imitativa del rumore che si fa mangiando con gusto, usata anche da chi si prepara a farlo per esprimere appetito”, recita il Sabatini Colletti.

Ecco la Slurparchìa per sommi capi. Ci si lecca i baffi in occasione di un appalto. Si spalancano gli occhi alla vista di un affare. Si dilatano le narici all’olezzo del denaro. Lo slurpacchiotto (una via di mezzo fra un componente della Banda Bassotti ed un Poldo, Poldo Sbaffini, un personaggio del fumetto Braccio di Ferro) questo fa: slurpare a più non posso; riempire il granaio; incamerare, pappare, fottere in tutti i sensi e fottersene degli altri, di quelli che stanno fuori del cerchio magico.

La slurparchìa è la società dei magnaccioni; il circolo Pickwick dei corrotti e dei predoni; il club degli affetti da amnesia, come l’ex ministro Scajola, il quale non sa chi si sia permesso di regalargli un appartamento con vista sul Colosseo e non si dà pace.

“Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere.” Queste parole di Aldo Moro sono drammaticamente attuali e profetiche, sono per l’oggi e per il domani.

Se vogliamo uscire dal tunnel della crisi economica, è necessario uscire dalla crisi morale. L’economia ha molto a che fare con l’etica. L’Italia non cresce perché è afflitta dalla corruzione, che “produce un costo in termini di competitività”. Lo ha detto Pier Carlo Padoan, capo economista e vicedirettore generale dell’Ocse.

La corruzione, che ammonta a circa 60 miliardi di euro l’anno, va a beneficio degli slurpacchiotti e a danno delle persone oneste, quelle come la buonanima di mia zia Vincenza, che, magra come un chiodo, si leccava i baffi soltanto a Natale e a Pasqua.

Salvatore Bernocco