A CELLULOPOLI I LAVORATORI CONTINUANO A PAGARE LA CRISI SULLA PROPRIA PELLE

Riceviamo questo Comunicato PRC sul caso Cellulopoli

Leggiamo con preoccupazione la denuncia della CGIL comparsa sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 24 maggio, in merito alla situazione dei lavoratori nel call center Cellulopoli di Terlizzi. Nel novembre scorso, come circoli di Rifondazione Comunista di Ruvo e Terlizzi, denunciammo alcuni ritardi nei pagamenti e inadempimenti degli obblighi contributivi, dopo diverse segnalazioni da parte degli operatori.

Ricordiamo che l’azienda ci rispose tramite l’Amministratore Delegato descrivendo il comunicato “falso e infondato, palesemente tendenzioso e volutamente denigratorio, come tentativo di guadagnare la ribalta e acquisire notorietà”. 


Notorietà che sicuramente invece si sta conquistando in negativo l’azienda, con le condizioni ottocentesche in cui versano i propri lavoratori: licenziamenti selvaggi, taglio dei collaboratori da 220 a 30, pagamento a maggio del compenso di febbraio. 

Per non parlare delle pratiche antisindacali e antidemocratiche a cui gli operatori sono sottoposti: leggiamo di due assemblee sindacali negate, di un’altra andata deserta a seguito di minacce e ricatti (“è arrivato un mandato per cui se avessimo deciso di venire all’assemblea avrebbero preso i nomi e non avremmo avuto i soldi della giornata”), di segnalazioni del numero di volte in cui un lavoratore va in bagno, di sospensioni per aver inviato un SMS. Inoltre l’azienda, che a quanto pare ha in piedi commesse con Tim e Fastweb, applicherà dal 1 giugno l’accordo nazionale siglato tra UGL e Assocall, stracciando l’applicazione dell’intesa sottoscritta a marzo 2017 che recepiva l’accordo nazionale tra CGIL, CISL, UIL e parte datoriale, che garantiva una maggiore qualità al lavoro degli operatori.

Aggrappati ai call center, i precari delle telefonate non hanno alternative. Spesso alla ricerca di un “lavoretto” per mantenersi all’università o provare ad arrivare a fine mese, si ritrovano poi a doverlo accettare come lavoro della propria vita perché in giro altro non trovano. 


E soprattutto se sono “outbound” (le voci che chiamano a qualsiasi ora a cui più o meno garbatamente si dice di non essere interessati) rappresentano l’ultima ruota del carro, perché i peggio pagati anche se i più utili. 

E su questo molte aziende del settore ci giocano: di fronte ad “un esercito di riserva” di disperati creato dalla mancanza o dalla precarietà del lavoro, si può agire sulla compressione dei diritti e un aumento dei propri profitti, anche grazie ad una crescente deregolamentazione del mondo del lavoro portato avanti dagli ultimi governi.

Per questo, fin tanto che queste realtà esisteranno (realtà che peraltro oggigiorno sono in aumento) continueremo a considerare non concluso il nostro ruolo storico da comunisti e a fronte di una situazione così drastica per circa 250 lavoratori del nostro territorio, continueremo a dare loro voce e ad esigere spiegazioni nell’interesse della collettività, soprattutto dai nostri amministratori.

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