Ultimo Viaggio ai Domenicani


Un saluto a don Paolo Chieco
5 giugno 2016



Quando lui era in auge io non seguivo (‘mea culpa’) la politica locale. Perciò non ne ho un giudizio politico definito.



Ma ho visto abbastanza, stamattina, davanti al suo feretro, per capire invece quanto sia riuscito come uomo.


Con la sua segretaria storica che, serena e con gli occhi umidi, ci spiegava e intanto gli parlava come fosse vivo, e lo accarezzava delicatamente sul cranio calvo, alla sommità di un corpo ormai ridotto all’essenzialità di pelle e ossa, ma elegantissimo come era in vita.


Perché Paolo Chieco, le poche volte che l’ho visto, quasi sempre nel suo studio e per motivi legali, era percepito come l’uomo di potere per antonomasia, ne aveva la fama e anche la physique du role, il portamento giusto.


Anche dopo la devastazione barbarica attiliana era rimasto uno dei pochi punti di riferimento contrari, con la sua cultura giuridica e la sua acuta intelligenza politica: tutto ciò che mancava al suo straripante avversario.


Oggi eccolo lì, la parte che ne rimane, almeno; l’anima chissà dove, ma forse non troppo lontana da questo funerale laico e dai suoi cari.


Come i nipoti che ieri, alla ‘notizia’ hanno deciso di mangiare solo frutta del suo orto. Un modo semplice e penetrante di stare ancora insieme.


E che oggi gli hanno portato come viatico un vaso della sua terra, alcuni dei suoi frutti e le sue rose, confuse ma inconfondibili tra le centinaia di altre. Vorrei fotografarli ma non oso interrompere il pathos della signora Marisa che continua a raccontare. Il lettore capirà.


Un dono bellissimo. Un viatico per il grande viaggio, come si faceva un tempo per i grandi guerrieri, ma col portato della civiltà. Terra anziché monete, frutta per armi, fiori come scudi verso l’ignoto.


Un funerale laico. Confesso che l’idea mi piace – anche se preferirei di gran lunga l’immortalità… 😉


Ma forse il Comune dovrebbe attrezzarsi e renderlo disponibile a tutti i Cittadini che lo vogliano. E i Domenicani decisamente non sono il luogo adatto.


Si dice che la morte livella tutti. A me non pare, per quanto già gli abbia inconsciamente tolto il ‘don’, che peraltro non uso mai se non con i preti. E a volte coi titoli dei post…


Tutte le volte che guardo il corpo che fu di un uomo non ne trovo mai consolazione né terrore, ma disagio, imbarazzo e irrequietezza.


No, non (solo) per la nostra fragilità, il comune destino – non è quello o lo è solo in parte.


Oggi l’ho sentita forse più acutamente del solito, questa puntura interiore, davanti al corpo di un uomo da cui tanti avranno sperato ‘grazie’ in vita, in ragione del suo ‘potere’ (così poco vale questa parola quando è riferita agli umani), e che oggi giace indifeso alla mercé del volere altrui.


Ma non è questo. Non è la proiezione di sé.


È il dubbio. Oggi più attanagliante del solito.


La constatazione della pochezza delle nostre battaglie.


Il sospetto che qualche genio maligno, come lo chiamerebbe Descartes, qualche astuto stratega dell’ombra si diverta  a dividerci e a metterci l’uno contro l’altro per i nostri piccoli obiettivi, per poi farci fuori tutti, ad uno ad uno, fragili e isolati, distratti dalle nostre mete lilliputiane.

Moriamo così. Semplicemente. Mentre il discorso è passato ad altri. È passato ad altro.

E ci resta solo quello che abbiamo saputo costruire sui terreni giusti. L’amore, il rispetto, la serietà, la solidarietà.

Il resto passa come un’elezione – e quel che ne rimane sono manifesti strappati e volantini come foglie cadute per strada da un eterno autunno di menzogne e sfruttamento del bisogno e della credulità; ma anche di tanti nobili intenti e di battaglie che lasceranno un segno, o almeno un germoglio.

Buon viaggio, don Paolo.

Dovunque sia, prima o poi ci si rivede tutti. Speriamo, migliorati.

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