Matteo ha perso. Ma Attila ha vinto ancora

E niente. Il solito Facebook che si diverte a sfottere. Cinque anni dopo. A ricordare che non tutti dormivano. Che qualcuno aveva previsto passo passo il futuro.

Che si potevano avere cinque anni di ricrescita anziché 5 anni di disastri e anche peggio. Molto peggio.

Speriamo nei prossimi. Il nuovo comandante è in gamba. Speriamo la ciurma non si ammutini e che una congiura di monocoli avvezzi a ogni inciucio non decida di buttarlo a mare.

Hanno vinto i partiti. Ha perso la Politica

Che la montagna stesse partorendo il topolino, era ormai evidente. Averne la conferma, beh, è comunque un’altra cosa.
Il neosindaco Vito Ottombrini ha presentato la nuova giunta comunale. Nuova per modo di dire. Perché è una Giunta in realtà terribilmente vecchia, a prescindere dai nomi, che ovviamente rispettiamo.
Avevamo dato un’abbondante messe di suggerimenti, dei quali neanche uno è stato fatto proprio dalla nuova Amministrazione. Il che rende subito evidente o che non abbiamo capito nulla noi (il che peraltro non danneggerebbe nessuno), o che  a non capire nulla è stata la neo Amministrazione e il suo entourage: il che invece danneggerebbe pesantemente la stessa Amministrazione e, quel che più conta, la Città.
In sintesi, direi che è mancata la Politica. E come sempre quando manca la Politica, hanno vinto i partiti. Questi, partiti. In una parola: ha vinto Attila. Tanto per cambiare…
Abbiamo assistito a tutte le fasi della campagna elettorale, e vi abbiamo partecipato con qualche peso. Abbiamo raccolto gli sfoghi senza speranza dei futuri protagonisti, allora sicurissimi di perdere. Abbiamo elaborato strategie, messo in campo risorse, fatto videointerviste, scritto articoli, preso posizioni che più chiare e più ferme non si può, siamo stati punti di riferimento e con “Attila. Lettera a Matteo”abbiamo forse dato la spallata determinante, insieme alla coraggiosa presa di posizione di Franco Catalano e dei suoi elettori.
Meritavamo qualcosa in cambio? Io penso proprio di sì. E quel qualcosa l’abbiamo chiesto. Pubblicamente. Qui.
Abbiamo chiesto una Giunta completamente rinnovata e, soprattutto, che premiasse le migliori professionalità e competenze, e sottraesse il livello di governo alle spartizioni e alle fameliche mire dei partiti.
Se ne sono guardati bene.
Abbiamo chiesto che si riconoscesse politicamente la natura del tutto particolare della vittoria, nata da un formidabile, storico, abbattimento di steccati. Ma qui sono mancate clamorosamente l’analisi e la consapevolezza; e se ci sono state, allora è mancato il coraggio.
Abbiamo chiesto che il livello rappresentativo, quello del Consiglio comunale, non fosse svuotato con nomine assessorili. Hanno fatto assessori due dei consiglieri più votati: 1.000 voti (tra cui anche il mio) persi in un colpo solo dal Consiglio e caduti nel vuoto: resi privi di rappresentanza.
Se domani uno di quegli assessori si dimette, per qualunque motivo, sarà come non aver votato. Intollerabile. E il Consiglio, con mille voti in meno, è un passo più vicino alla consistenza di un mero organo di ratifica, anziché di proposta e costruzione.
Abbiamo chiesto che il livello esecutivo, quello degli assessorati, fosse gestito con la dovuta serietà, affidandoli a persone non solo competenti, ma che prendessero l’impegno di svolgere tale compito a tempo pieno. Anche qui buco nell’acqua e serio rischio di dopolavorismo: staremo a vedere gli impegni dei singoli, nei quali, sia chiaro, fino a prova contraria abbiamo fiducia.
Insomma la grande vittoria popolare si è già sgonfiata. Ed è diventata la solita, piccola, striminzita, un po’ meschina spartitoria di partito. L’ennesimo esempio da manuale Cencelli: tanti assessori al Pd, qualcosa a Rifondazione, qualcosa a Sel…
Magari c’è chi lo considera normale. Perfino “realistico”. A noi continua a sembrare un errore grave. Un deficit di prospettiva che non mancherà di avere conseguenze.
Resta la vittoria sul peggiore rischio di ritorno al passato. Ma l’incanto è già perduto. Matteo ha perso. Ma Attila ha vinto ancora. Matteo ha perso in gran parte grazie a noi di RL che abbiamo saputo mobilitare consenso. Ma Attila ha vinto grazie a loro, che hanno fatto di quel consenso la solita poltiglia spartitoria. La guerra è ancora lunga.
Si lascia priva di rappresentanza un’esigenza di rinnovamento e di superamento degli steccati che è stata profondissima, vitale, per molti versi rivoluzionaria. Si privilegiano gli assetti interni, così certificando la morte delle grandi prospettive. A cui probabilmente non si è mai creduto.
In realtà, più di duecento anni dopo la lezione di Montesquieu, la separazione dei poteri è ancora una favola dalle nostre parti (compreso il livello nazionale).
Una volta i sovrani riassumevano arbitrariamente in sé i supremi poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.
Oggi lo fanno i partiti, con le conseguenze che tutti vediamo.
Mentre i manuali di diritto costituzionale continuano a vantare l’asse governo-parlamento come peculiarità della civiltà europea, il risultato è che l’Europa, e l’Italia in particolare, subiscono e pagano a caro prezzo questo continuo incesto istituzionale, grazie al quale basta controllare un partito per farsi beffe di ogni divisione dei poteri, in barba ad ogni criterio di buon governo. Un continuo stupro della rappresentanza.
Il risultato è un paese in cui il Parlamento è solo la rappresentazione teatrale (altro che rappresentanza politica) del potere. Un po’ servo, un po’ mantenuta, un po’ vacca da spremere. Mentre le decisioni vengono prese altrove e ai rappresentanti popolari non resta che curarsi le frustrazioni con i corposi vitalizi.
Che tristezza!
Qui, nella nostra piccola città, pensavamo (o speravamo) si fosse verificato l’inizio di un miracolo: un irrompere della società civile per ristabilire almeno i fondamenti della buona politica.
partiti si sono ripresi tutto. Con l’atavica fame di sempre. Hanno chiuso tutti i buchi e ri-eretto e rafforzato gli steccati.
Politicamente si salva ben poco.
Zero in comunicazione, con la città lasciata a se stessa per quasi un mese, in preda alle voci più terrificanti, senza una sola parola – non una! – a chiarire la situazione ai Cittadini. Non era importante, evidentemente.
Pasquale De Palo alla Cultura può essere una buona mossa (fermo restando che era stato votato come Consigliere, tra gli altri anche da me, e che sarebbe molto meglio stato un -ottimo- capogruppo consiliare, avendo lì sì il giusto ruolo propulsivo e costruttivo). Alla Cultura può far bene: ma andrà in aspettativa dal suo lavoro per fare l’Assessore della svolta a tempo pieno? Speriamo di sì.
Stesso discorso per Caterina Montaruli all’Urbanistica. Una pensionata ex preside di Istituto tecnico commerciale senza alcuna competenza specifica. Persona rispettabilissima, ma ugualmente scelta razionalmente incomprensibile, a meno di non rinchiudersi e murarsi nelle anguste logiche di partito.
L’unica cosa che si salva davvero è la Presidenza del Consiglio comunale a Franco Catalano. Una mossa intelligente sotto tutti i punti di vista. Ma solo il pallido riflesso di ciò che sarebbe dovuto essere in termini di apertura NON alla Destra (il che sarebbe stato inaccettabile per entrambi) ma alla Società Civile: ai Cittadini.
È questa la capacità di analisi che è mancata. È questa la grande occasione che è andata perduta.
Ma forse è vero che questa occasione non è mai stata tra le loro opzioni. E allora non c’è che da rassegnarsi all’andazzo dei partiti, delle loro stanze segrete, delle loro decisioni dalla logica incomprensibile (o comprensibilissima).
Oppure farsi carico della dura realtà: che i partiti sono ormai un’oligarchia da spazzare via per poter riconquistare, come cittadini, il controllo della vita pubblica e il diritto ad aspettarsi (e a costruirsi) un futuro migliore.
Dai partiti non si può sperare nient’altro che il poco, magro, striminzito e storto che danno. E non c’è differenza. Non ci sono partiti “buoni” e meno buoni.
Sono tutti partiti oligarchici e non democratici. Associazioni private che gestiscono a proprio piacimento la vita di tutti.
E’ il caso che cominciamo a pretendere qualcosa di meglio.

Mario Albrizio

mario albrizio