La Città Devastata

#SalviamoRuvo #RuvoMeritaDiMeglio

5 anni fa. Sembra ieri. Sembra oggi. L’ennesima profezia inascoltata.

La Storia non insegna nulla ad allievi così distratti e incapaci. Bisogna allora che i Cittadini riprendano in mano il proprio destino. 


Eh no, la situazione non è peggiorata all’improvviso. Si sapeva benissimo da anni. Chi aveva il coraggio e la preparazione per saperlo e addirittura denunciarlo.

Eh no. Non sono per niente “tutti uguali”. Qualcuno non dormiva. Qualcuno ha dato l’allarme per tempo. E ha fornito le soluzioni, ignorate da chi doveva applicarle o smentirle coi fatti.

E ha dormito e inciuciato e continuato a devastare (vedi la Piazza) come se niente fosse; e programmare nuove ancora peggiori devastazioni (vedi il Pug) per devastare anche il futuro.

È ora di dire basta. Tutti a casa e Liberiamo la Città. Oggi c’è l’alternativa. RuvoLibera c’è.

Probabilmente non si è mai vista una campagna elettorale così tirata e per molti versi sleale.

Ruvo è una città sotto scacco. Devastata da una gigantesca palla di acciaio arrugginito che abbatte continuamente muri, case, persone, partiti, alleanze e buon governo. Una situazione felliniana dagli esiti in ogni caso esplosivi.

Aggrappata a un passato che non sarà mai più, incerta su dove sia il futuro, la città rischia di scegliere la via più facile, ma anche più sbagliata. Tornare al passato remoto.

Mettere la testa sotto la sabbia e sognare del tempo che fu, irrimediabilmente passato da un pezzo, quando la spesa pubblica era allegramente prodigale e si poteva finanziare di tutto in cambio del semplice consenso clientelare. Almeno per gli amici, per gli amici degli amici e, le briciole, per le masse di clientes.

Così, non potendo far tornare i tempi andati, una parte della città ne evoca il nome più clientelarmente rappresentativo. Come se rimettere indietro le lancette della Storia fosse impresa possibile.

Una situazione tragica e grottesca, che ricorda in piccolo, in miniatura, l’avventura di un regime fascista che, basandosi sulla mera rievocazione e imitazione di facciata degli antichi fasti imperiali, senza che ve ne fosse la sostanza etica, giuridica, politica e militare – ha portato l’Italia a un disastro immane, di cui paghiamo ancora pesantemente le conseguenze. Non basta alzare il braccio, ahimè, per essere Cesare.

Così il clima si fa incandescente. La città, sospesa in un baratro tra passato e futuro, s’interroga sperando di avere ancora una scelta, mentre la palla demolitrice continua la sua corsa cieca e distruttiva.

Nella città devastata, il tempo sta scadendo. E dietro la massiccia coltre di nubi, che sembra annunciare tempesta, chissà che non si nasconda un raggio di sole. Così che si possa cominciare a ricostruire.

Mario Albrizio