HOLLYWOOD MUSEUM. INSIDE OUT O IL MANIFESTO DELLA CRISI

Riley, la bambina, in attesa che la colorata regia delle passioni (in basso) le dica cosa dire e fare.

Non andavo al cinema probabilmente dal secolo scorso.

D’altra parte il cinema è una roba del secolo scorso.

Inside Out, in un cinema semideserto in cui l’unico a comprare il popcorn (ai bambini) sono stato io.

Quasi nessuno tra le comode poltrone rosse, nel dolby surround di una domenica pomeriggio, nonostante l’incessante bombardamento mediatico.

Peraltro, proporre il cinema nell’era di Internet è come proporre lo zoo a chi vive in una fattoria piena di animali.

Il museo va bene una volta. Poi du palle che neanche la Corazzata Potemkin…

Il film è noioso, con poche trovate, sempre sul filo dello sbadiglio.

Schiacciato su una filosofia piattamente e sterilmente deterministica per cui le azioni (OUT) della protagonista sono la esatta risultante della lotta delle passioni interiori (INSIDE), ovviamente cartoonizzate.

Insomma, l’essere umano come burattino. Variazione tecnologica sul tema.



Narrativa spezzata

Non a caso la vera avventura la vive non Riley, la bambina, ma Joy (Gioia), la più solare delle passioni che al termine del suo percorso iniziatico imparerà ovviamente e prevedibilmente che anche le passioni negative (Tristezza) sono importanti.

Così la vita di Riley avrà d’ora in poi più registi-passioni a tirare le fila, senza mai cessare di essere burattina come peraltro tutti gli altri, umani e non.

L’ennesima sceneggiatura che saccheggia a man bassa le più svariate e disorganiche teorie psicologiche, le mette nel frullatore e ne tira fuori un film, per giunta per bambini.

Che come tutti i film, per giunta per bambini, finirà per obbedire alle solite immutabili leggi – contro le quali nulla può neanche la strepitosa abilità animatrice della produzione Disney-Pixar: l’unica cosa degna di nota in un film di cui non si ricorda una sola battuta.


Verità inconsce

Se di psicanalisi si deve parlare, allora questo film racconta involontariamente ma egregiamente la crisi di Hollywood, dove la creatività si spegne man mano che si accendono i computer e i simulatori.

La classica richiesta inconscia di aiuto del classico paziente che appare vincente e in realtà sta per crollare.

Il cinema rappresenta se stesso e la sua lotta tra burattini e burattinai. Il suo, Inside Out.

Rappresenta la sua stessa favola con l’occhio di chi non ci crede più.

E fa bene. Là fuori la vita è molto più ricca, più vera, e con un’infinità di colpi di scena. E altro che 3D: gli effetti più che speciali sono nella vita stessa. Ti fanno gioire e tremare ed emozionarti come nessun film.

La vita che il cinema-burattino non racconta più.

Non la sublima. Non la rappresenta. Non la anticipa. Non la educa. Non la converte. Non la guida.

Si limita a spillare il biglietto e nulla più.

Bello il tema sonoro, semplice, fresco e coinvolgente. Almeno lui…

E se vi state chiedendo “magari ai bambini è piaciuto” sia di risposta anche a voi la voce della sconosciuta bambina che in piena proiezione ha squarciato il silenzio in sala gridando delicatamente al buio: “potete mettere pausa“?.

È stata di gran lunga la battuta più divertente della serata.



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