FRATE MATTEO




Si dice che l’abito non fa il monaco. Figurati il frate. 

Frate Matteo non fa eccezione.

Il questuante scalzo per definizione,  il famoso elemosinatore di assessorati, il nasconditore di mani dopo aver lanciato le pietre, il pio fondatore dell’Ordine degli Inciucianti Scalzi, il Priore del desacrato Convento di Palazzo Avitaia, l’uomo che ha fatto del fallimento il suo credo, purché sia a carico degli altri – quest’uomo, dico, e questo fraticello, non l’ha presa bene la citazione nell’articolo di ieri.

I suoi poveri piani così svelati e miseramente naufragati…

Così si è attaccato al telefono – il telefono: parliamone; quest’arma così sottovalutata del potere di bassa lega; ma che la puoi usare ovunque, anche per dire in un ufficio pubblico, anche per decenni, per promettere, far paura, minacciare, terrorizzare approfittando della tua posizione “istituzionale”, se ne hai una; il telefono con cui puoi ridurre l’ufficio (supponiamo, eh?) di salute pubblica nel TUO ufficio, senza pagare luce e riscaldamento e affitto e telefono; fregandotene se questa squallida attività è vagamente (anzi del tutto) illegale e se è di impiccio al normale funzionamento di una struttura pubblica magari di vitale importanza.

E lo vuoi mettere, il piacere supremo di mettere le spese di tutto questo scialo a carico di quegli stessi gonzi il cui voto hai fregato con false promesse, o dei poveracci a cui lo hai estorto col ricatto?

Gengis Khan ha conquistato il mondo a cavallo. Ma un poverello che non schioda il culo dalla poltrona, come vuoi che faccia le sue miserande conquiste nel suo piccolo mondo? Col telefono, appunto.

Ma chissà perché facciamo questi discorsi. Tanto son cose che qui non succedono – no? 😉

Il telefono, dicevamo. Letto l’articolo, frate Matteo si attacca al telefono, appunto, e chiama presumibilmente mezza città.

La sua strategia calamitosa e appiccicaticcia di sempre. Rozza come quella di un Golia. Invadente come le cavallette. Sibilante come il serpentello di Eva. Si insinua, blandisce, promette, minaccia, ricatta: un repertorio limitato, ma che spesso porta i suoi marci frutti.

Ah, Matteo Matteo, caro frate, lo sai che non si fa. Lo sai che fine fanno, prima o dopo, i serpentelli. 

Te lo dice anche la Madonna di ogni ospedale: ci avevi fatto caso, tra una telefonata e l’altra?



Insomma si attacca al telefono nel suo giro di “visite” come gli hanno insegnato nel corso di laurea alla facoltà di medicina della Telecom, e tra gli altri tempesta continuamente (privacy: chi era costei? 😉 persone a me vicine, nel Movimento di cui si parlerà a breve.

Al vecchio boss in declino l’articolo non è piaciuto. Vuole che mi allontanino.

Solo lui, nella sua confusione permanente (Dio confonde i malvagi e gli orgogliosi, dice curiosamente il salmo), può immaginare di far allontanare qualcuno da qualcosa che non c’è ancora, essendo appunto in formazione.

Solo lui può parlare a uomini liberi come se fossero i suoi tirapiedi dei bei tempi, quando la legge della raccomandazione, dell’inciucio e del disastro a proprio vantaggio e a carico dei Cittadini aveva in lui il suo oscuro e stolto profeta.

Ah, Matteo Matteo. E che ti ho fatto, io?

Mi dovresti ringraziare. 

Grazie a me passerai alla storia. Fra mille anni qualcuno aprirà internet e leggerà le tue porcate pardon imprese.

Certo, ci farai una figura di…

Ma avendo in tutta la tua vita politica fatto scelte di… che altra figura volevi fare?

Ci pensi? Fra mille anni? Ma anche fra cento. Fra dieci. Persino – guarda un po’ – nel 2016. Perché è questo che ti cruccia, nevvero, poverino?

Coraggio.

Quelli come te finiscono presto nel dimenticatoio e, se c’è un aldilà come noi pensiamo, passano lunghe pene d’inferno per scontare le maledizioni che hanno accumulato in vita. Eh, sì. Le cambiali si pagano. Anche quando non si vede. Anzi soprattutto.

Le pagherai pure tu. E non ti servirà a niente l’impunità terrena in questa landa desolata dove tutto funziona al contrario, dove i condannati fanno i premier e così a scendere (e per scendere fino a te, ce ne vuole). Lassù (o laggiù) non c’è indulgenza. Né tanto meno complicità.

Pagherai come tutti. Tutti quelli che hanno da pagare, dico. Ma nel frattempo almeno sarai famoso. Immortale.

Ti pare poco?

Per un mediocre serpentello ruffiano e tentatore, è una promozione mica male. Pur sempre una specie di eternità. Hai presente, appunto, il serpente di Eva? Chi mai ne parlerebbe se qualcuno non ne avesse scritto?

D’accordo. Sempre serpente è, mica Clark Gable. Ma vuoi mettere la notorietà – migliaia di anni dopo?

Pensaci.

Chiedimi scusa. Rendimi grazie.

Risparmiati qualche telefonata e se proprio, assicurati di farla da casa tua.

Butta via quel rosario telefonico che ti incatena alla solita recita deprimente e comincia a fare, negli anni che ti restano, ogni giorno, tutti i giorni, il vero esercizio cristiano che dovresti fare e ti manca. Il mea culpa.

Così magari abbrevi la pena.

Come sempre tuo

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