IL BACIO DEL TRADIMENTO

Tradimento. Traditori e traditi nel dibattito politico


Tradimento. Traditori e traditi. Sono termini che da qualche tempo a questa parte, ricorrono di frequente nel dibattito politico locale.

Ma facciamo un passo indietro e chiariamo che cosa s’intende per tradimento. Il verbo tradire viene dal latino tradĕre (composto di tra- “oltre” e dăre “dare”), che voleva dire propriamente “consegnare, affidare, trasmettere”. 
Da questo significato originario è derivato il termine tradizione, che indica appunto una trasmissione di conoscenze, sentimenti, valori. In un’accezione più specifica, il verbo latino poteva significare “consegnare al nemico” (la bandiera, una fortezza, una persona o altro che si sarebbe dovuto difendere), e di conseguenza “ingannare” (Loescher).

L’etimologia è importante perché dà l’idea esatta della questione che ha acceso gli animi di non pochi esponenti politici ruvesi, sebbene il tradimento sia un’azione che si perde nella notte dei tempi. Il primigenio tradimento, infatti, fu perpetrato da Adamo ed Eva, che mangiarono la benedetta mela. Da quel gesto inconsulto derivarono tutti i nostri guai.

Abele fu ucciso da Caino e il Cristo fu tradito da uno dei suoi discepoli, quel Giuda Iscariota che poi si sarebbe impiccato e che, prima che traditore, era un mariuolo e, “siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro”, come si legge nel vangelo di Giovanni (12, 4-6).

Il tradimento fu consumato per trenta denari e suggellato con un bacio. “Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?”, disse il Cristo (Lc 22,48), quasi a significare che spesso il tradimento si manifesta con atti delicati, innocui, innocenti. 
Un bacio, in casi come questo, non è l’apostrofo rosa tra le parole t’amo, ma la punta di un coltello affilato, quantunque di recente lo scrittore Amos Oz abbia dato alle stampe un libro dal titolo “Giuda”, per i tipi della Feltrinelli, in cui tesse un energico elogio del tradimento. 
Solo chi tradisce – sostiene l’Autore (la Repubblica, 28 ottobre 2014, pagg. 44 e 45) “chi esce fuori dalle convenzioni della comunità cui appartiene, è capace di cambiare se stesso e il mondo”. Tesi suggestiva ed opinabile, ma pur sempre una tesi, cosicché dopo “Elogio del dubbio” di Berger e Zijderveld, edito dal Mulino, e “Elogio del moralismo” di Stefano Rodotà, pubblicato da Laterza, vi è anche l’apologia del tradimento. Spero non si passi all’elogio della follia, anche se ci ha già pensato Erasmo da Rotterdam nel lontano 1509.

C’è una lista infinita di tradimenti celebri. Citiamone altri. Dalila fu sleale nei confronti dell’uomo che l’amava, il giudice Sansone; Assalonne verso suo padre, il re Davide. In politica Bruto, una delle figure preminenti della congiura delle Idi di Marzo assieme a Gaio Cassio Longino e a Decimo Bruto, accoltellò Giulio Cesare. 
Ma galeotto, nel senso di mezzano ma anche di mezzo favorente l’adulterio, “fu ‘l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante”, racconta Francesca da Rimini a Dante. 
Siamo all’Inferno, nel girone dei lussuriosi, e Francesca narra la sua passione adultera per Paolo Malatesta, scoppiata mentre i due stavano leggendo per diletto il passo di un romanzo cavalleresco in cui la regina Ginevra, sposa di re Artù, veniva baciata dal cavaliere Lancillotto. Ennesimo esempio di adulterio passato alla storia.

Insomma, ce n’è per tutti i gusti. C’è il tradimento extraconiugale e quello dei figli nei riguardi dei padri, dei fratelli nei riguardi dei fratelli, dei politici nei confronti di altri politici dello stesso partito o della stessa area, con contorno di spie, leccapiedi, portaborse, segugi. In politica è prassi quasi consolidata, tant’è vero che non fa più notizia in un’arena politica priva di valori e di ideologie, e quindi di senso consapevole di appartenenza ad un comune disegno.

A Ruvo si è gridato al tradimento perché un consigliere comunale ha reciso i legami con una formazione politica e si è reso autonomo ed indipendente. Gli sono state riversate addosso parole pesanti durante un pubblico comizio che vedeva sul palco, a stretto contatto di gomito, ex traditi ed ex traditori, ex nemici ridiventati amici e, alla larga dal palco e nella penombra, ex amici passati nelle file degli avversari. 
Prima di questo episodio, una parte consistente di Forza Italia e del centrodestra ruvese non appoggiò al ballottaggio il dott. Matteo Paparella, consentendo così a Vito Nicola Ottombrini di diventare sindaco del paese. Fu un fatto eclatante e di estrema gravità che frantumò il centrodestra ruvese. 
Da non molto, se non erriamo da poco prima della competizione per le Europee del 2014, vi è in atto il tentativo delle aggregazioni non di sinistra di intraprendere un percorso comune, mettendosi alle spalle quel tradimento, per l’appunto, che gridava vendetta e che pareva avesse definitivamente distrutto quel bacino politico. 
Le cose, come si vede, mutano, come spesso accade, sebbene alcuni strascichi permangano e non si siano del tutto sopite le voci che non vedono di buon occhio il ritrovato accordo. Perché? Perché il lupo cambia il pelo ma non il vizio? O per altre ragioni che disconosciamo? 
http://ruvocerca.blogspot.it/Lasciamo prudentemente ai posteri l’ardua sentenza: i monsoni dei mutamenti possono prendere nuove direzioni e ciò che si oggi si ipotizza potrebbe rivelarsi domani soltanto fumo. Soprattutto nell’ambito politico i capovolgimenti di fronte sono all’ordine del giorno ed è facile prendere sonore cantonate.

Uno dei massimi protagonisti della querelle politica del maggio 2011 e dei mesi che seguirono fu il dott. Franco Catalano, candidato sindaco di Forza Italia, attualmente presidente del Consiglio Comunale. 
Lo scontro fra i due medici fu al calor bianco e si appalesò in tutta la sua ampiezza e profondità in occasione di un comizio che saldò i seguaci del dott. Catalano, perdente al primo turno, al centrosinistra. 
Il messaggio che fu lanciato da quel palco fu chiaro e limpido: al secondo turno votate per Ottombrini. Pollice verso nei confronti del dott. Paparella.

Ora che lo scenario è notevolmente mutato nel senso, a mio avviso, di una maggiore coerenza, da più parti si chiede al dott. Catalano di dimettersi dalla carica di presidente del massimo consesso cittadino. 
Chi pretendeva le sue dimissioni prima, oggi tace, mentre chi le respingeva ieri, oggi le reclama. 
A parte la considerazione della funzione di garanzia insita nel ruolo che egli ricopre, ve ne sono altre discendenti dall’art. 39 del Decreto legislativo n. 267 del 2000: decide gli interventi dei consiglieri; ammette le interpellanze, le interrogazioni e le mozioni dei singoli consiglieri comunali; dirige la seduta ed è responsabile dell’ordine pubblico all’interno della sala consiliare. 
Inoltre, è anche titolare di un potere di polizia anche notevole all’interno della sala consiliare (può far sgomberare la sala avvalendosi delle forze dell’ordine che siano presenti nel Consiglio Comunale). 
La funzione del presidente del Consiglio Comunale è indirizzata al corretto funzionamento dell’istituzione ed è, quindi, del tutto neutrale, sostiene la dottrina. 
“Tuttavia, nel caso di cattivo esercizio della funzione, il presidente del Consiglio Comunale può essere revocato. Più in particolare, la revoca della sua nomina può dipendere soltanto dalla accertata violazione delle regole di imparzialità, correttezza e di rappresentanza istituzionale che presiedono l’esercizio del suo ufficio”.
Ora, il punto, al di là delle valutazioni squisitamente politiche, è esattamente questo: ha egli violato le regole?
Salvatore Bernocco
Per concessione dell’autore, da il Rubastino, Anno XXXIV N. 3 – Novembre 2014
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