Le Mutazioni


Pubblicato MARTEDÌ, 25 SETTEMBRE 2012 Scritto da IVAN IOSCA 634 visualizzazioni 



Vi dicevo che per La Banda ci voleva uno spazio a parte; vi dicevo che de La Banda avrei voluto sapere di più. E in effetti non ne sappiamo molto. Il Festival ci ha mostrato la direzione, o per lo meno una fra le possibili.

 E’ per questo che insisto dicendo che tutto è cominciato nell’esatto momento in cui si è svuotata quella piazza, domenica 16 settembre. Tutto è cominciato quando la maggior parte di voi ha pensato che fosse finito il Talos Festival.

Qualche ora prima, verso le 11,00, ho seguito il convegno “La Banda, un patrimonio da salvare”. Avremmo dovuto essere molti di più. Avremmo capito.

Esiste un mondo sommerso in Puglia, a quanto pare da sempre; un’intera regione, che mentre lavorava i campi, mentre viveva della sua terra, temprava i suoi ideali nella tradizione musicale. Per capirci subito, è un po’ come il petrolio grezzo; da sempre sotto i nostri piedi.

Introducono il maestro Domenico Zizzi (Presidente Federazione Bande Pugliesi, impegnato nella ricerca e nel ritrovamento di materiale storico sulle bande da giro in Puglia) e Ugo Sbisà (critico e giornalista). 

Subito vengono distinte le Bande “da giro” (commerciali, da Cassa Armonica), dalle “Bandicelle” (bande locali, formate da giovani). Subito si fa notare che non esiste un registro delle bande, ma che in Puglia se ne contano 200. Viene fuori un numero come otto mila musicisti, senza considerare l’indotto e solo quattro leggi a rappresentarli.

Un sistema lento, nato in maniera collaterale. Forse una mutazione. Non è un’orchestra. Non ci sono gli strumenti ad arco. Solo percussioni e strumenti a fiato.

Dice Sbisà: “Qualche anno fa, le bestie nere da additare in conservatorio erano di due tipi: o quelli a cui piaceva il Jazz o quelli che suonavano nella Banda. Il perché era uno solo: potevi compromettere l’impostazione”. 

Ora non chiedete a me cosa sia questa famigerata “impostazione”, perché proprio in quel momento sono stato rapito da Godard che nella camera accanto si esercitava con i suoi allievi per il Yamaha Tuba Master Class. 

Mi sono distratto da Godard quando Sbisà ha detto: “il Conservatorio tiene sotto campana una tradizione già morta”. Ed è pensando al Conservatorio che ho cominciato a comprendere il problema. Non saprò mai cos’è una banda se non avrò la precisa cognizione di  cos’è un conservatorio.

Questo termine deriva dall’usanza, nel XIV e XV secolo, di iniziare ed educare ad un mestiere (e fra questi quello della musica) gli orfani ed i trovatelli che venivano “conservati” presso asili, ospizi e orfanotrofi di pubblica pietà. 

A legare indissolubilmente il termine “conservatorio” ad un luogo scolastico in cui la musica assume un ruolo preminente fu la pratica didattica nella città di Napoli. 

A partire dal Settecento, questi conservatori acquisirono sempre maggiore importanza dal punto di vista dell’educazione musicale, perdendo la loro caratteristica assistenziale. 

Nei secoli a seguire, acquisì la massima importanza difendersi dalle nuove contaminazioni, usando l’espediente della “campana di vetro istituzionale”. 

Però la faccenda era assai più complessa. Dove noi vediamo un meccanismo di difesa, in realtà si nascondeva un modo di pensare.

Su tutto il territorio, in maniera parallela, nascevano le Bande. Questi non erano formate da persone con una sufficiente preparazione accademica alle spalle. Per molti era un secondo lavoro, era un mezzo di sostentamento. 

Ma non mancò chi, desideroso di apprendere, si spinse fino in conservatorio. Una variabile impazzita all’interno di un’equazione aurea. 

Per molto tempo le diverse Direzioni avvicendatesi al potere, cercarono di capire come affrontare il problema.

La campana istituzionale non era l’unica soluzione. Avrebbero potuto mirare al contrattacco tecnicistico. E per molto tempo l’espediente della “impostazione” ha mietuto le sue vittime, ma i musicisti da giro sono tanti, forse troppi in proporzione, e sicuramente meno legati alla tradizione. 

Un’altra soluzione era quella di piegarsi; aprire le porte ai nuovi mondi dell’interpretazione. 

Ma il nostro, è lo stesso mondo che ha dato i natali a Rossini, a Verdi, a Vivaldi. Lo immaginate voi un compositore accademico che si siede allo stesso tavolo di un  jazzista? 

Come può barattare la nobile arte della composizione con quattro note improvvisate? Tutto ciò che va al di là della loro impostazione, non esiste.

Il fatto però era che quelli esistevano davvero. Così per anni ci si pose il dilemma: attaccare, barattare o isolarsi? Intuirono, col tempo, che prendere una decisione equivaleva a scegliere un’idea di se stessi. 

Sapevano che attaccare o barattare in qualche modo costringeva il loro sistema ad uscire dalla tana e a confrontarsi con l’esistenza di gente diversa. La paura non derivava dalla possibilità di perdere qualcosa, ma da quella di essere contaminati. 

E così prima o poi l’idea a qualcuno venne: mettiamo un bel muro tra loro e noi. Il Conservatorio ormai non si difendeva da La Banda: la inventava.

Ecco la mutazione. Una cosa che riguardava tutti, nessuno escluso. Perfino i professori di conservatorio, che la mattina additavano gli studenti e la sera suonavano nelle bande di nascosto

Una mutazione compiuta per sopravvivere. Quanto a capire in cosa consista, mi rifaccio a Baricco che su queste cose ci ha scritto un libro. Lui dice: “La mutazione mi pare poggi su due pilastri fondamentali: una diversa idea di cosa sia l’esperienza, e una differente dislocazione del senso nel tessuto dell’esistenza. Il cuore della faccenda e lì: il resto è solo una collezione di conseguenze”.

Giungiamo ad oggi. Molti prima di noi hanno capito cos’era La Banda. E hanno cavalcato l’onda della mutazione. Quello che più mi affascina è che questa storia è ripetibile in maniera ciclica

Oggi La Banda fa parte della nostra tradizione e il mondo si apre a nuove sonorità. Oggi La Banda è nel conservatorio. Il resto è solo una collezione di conseguenze. 

Oggi le bande da giro sono formate da più o meno quaranta studenti di conservatorio. I costi delle loro esibizioni risultano eccessivi. La festa patronale è l’ultimo luogo in cui hanno ancora il diritto di esibirsi. 

Non vi è rinnovamento dei repertori e i comitati organizzatori non vedono un cambio generazionale. Il risultato che ne deriva è una nuova mutazione determinata dal Bisogno.

Ecco perché abbiamo una nuova possibilità. Ecco perché il Festival comincia oggi.

Diventa importante “la cura quotidiana“, perché non c’è mutazione che non sia governabile.

Baricco dice: “Abbandonare il paradigma dello scontro di civiltà e accettare l’idea di una mutazione in atto non significa che si debba prendere quel che accade così com’è, senza lasciarci l’orma del nostro passo. Quel che diventeremo continua ad esser figlio di ciò che vorremo diventare”. 

Quindi sta a noi il compito di decidere cosa, del mondo vecchio, vogliamo portare durante questo viaggio incerto verso il mondo nuovo. 

La velocità ha preso il posto della riflessione, la comunicazione il posto dell’espressione, ed inevitabili e giusti sono gli interventi  di Michele Casella (giornalista, Vicepresidente Distretto Produttivo “Puglia Creativa”) e di Antonio Princigalli (Puglia Sounds).

Nessuno si rimbocca le maniche. Un territorio deve decidere in cosa investire, per far sì che la tradizione diventi un elemento contraddistintivo. E’ capacità organizzativa. Capacità di pretendere che questa cosa cresca.

A livello regionale si istituisca un tavolo non di due ore, ma di un mese per capire come poter usare le leggi che già esistono, le aziende che già esistono. 

Da 6 mesi si è costituito un grande distretto della cultura in Puglia, che mira proprio a fare rete sul territorio.

A livello statale c’è bisogno che si giunga alla consapevolezza che il distretto della cultura produce il 5,6% del P. I. L. , più del comparto dell’automobile.

A livello cittadino, in questo periodo storico precario, si tuteli “la casa”.  

Quindi si istituisca una fondazione Talos che abbia lo scopo, insieme agli enti pubblici e privati, di essere la casa dello sviluppo e del miglioramento

Commissione di progetti artistici, scuola di banda. A proposito, se si mettese in mano ai ragazzini uno strumento vero, al posto di quelle cannule sterili, li si educherebbe al mondo della musica, ma anche a stare nella società. 

Tutte le note formano gli accordi e tutti gli strumenti formano la melodia. Ognuno di questi ha un ruolo fondamentale. Ognuno di noi ha un ruolo fondamentale. Se questo è vero, insieme abbiamo un potere schiacciante. 

Quella cura quotidiana di cui parlavo prima, ci dà la possibilità di costruire il nostro futuro serenamente, di  monitorare giorno per giorno la situazione e di imparare dagli errori.

Questa volta ho scritto tanto, ma un ultimo appunto voglio farlo. Un giorno prima dell’evento, sulla pagina ufficiale del Talos Festival c’era questo messaggio: ”Convegno su: La Banda un patrimonio da salvare. Questa mattina, alle ore 10,00… perché la Puglia non é soltanto Taranta ma soprattutto Bande!”

Ora dico, capiamo bene qual è la direzione, perché io a Ruvo di Puglia una nuova Notte della Taranta non la voglio! Non voglio un territorio, passatemi il termine, depredato dalla becera economia. 

Mi rendo conto che questo argomento merita un ulteriore approfondimento. Per ora la butto qui, a fine del mio pensiero, che in realtà è il pensiero di molti altri, spero.

Ivan Iosca