La “storia più bella”. Ma il film?

Oggi, di Pasolini, arriva il Gesù. Il Vangelo secondo Matteo
 
Dalle 18.00, ai Domenicani. 



Si può amare qualcuno e sentirne piena indifferenza allo stesso tempo? Certo che sì. È la vita, bellezza! E la Cultura non fa eccezione. La contraddizione, ha detto un grande filosofo, è il motore che muove le nostre esistenze.

Così è il mio rapporto con Pasolini. Ne apprezzo la potente critica sociale, tutt’oggi in gran parte attuale. Leggendaria poi la critica alla tv: roba che sembra scritta oggi, anzi domani, e lui l’ha fatto cinquant’anni fa, con la sua intelligenza acuminata.

Invece ho sempre trovato poco attraenti i suoi film.

A suo tempo, ormai nel Millennio scorso, mi annoiai a morte con Uccellacci e uccellini, dove persino Totò era ridotto a funzione noiosa di chissà qual concetto inespresso. Con gli altri film non è andata molto meglio.

La stessa sensazione mortifera la provo ri-guardando il suo Gesù.

Anche qui, sulla parte pre-critica siamo d’accordo: “la più bella storia mai scritta“. Magari non è un dogma, ma ci può stare.

Il fatto è che quella storia lui non la sente sua. La racconta come un estraneo. Meglio, come un estraneo colto. Come un feudatario dello spirito che scenda indulgente ad osservare la superstizione dei suoi contadini – ai quali infatti è affidata la recitazione del film.

Una scelta politicamente audace, artisticamente innovativa ma dagli esiti men che mediocri. Una scelta che relega il film all’aneddotica e alle curiosità di scena.

Un lungo scorrere piatto e noioso, che può forse fare ancora la gioia di qualche cinefilo o di qualche nostalgico, ma che, se allora era lontano dai gusti delle masse che-avrebbe-voluto-guidare, oggi è a una distanza siderale.

E non mi meraviglierei se l’utente medio odierno, impattando in questo Gesù mentre girovaga su Youtube, si lasciasse scappare la stessa critica che un mio amico-per-modo-di-dire ha riservato più o meno bonariamente qualche tempo fa ad uno dei miei articoli che non ha apprezzato: “un trituramento di coglioni” di quasi due ore…;)

La potenza esplosiva del Vangelo, della “filosofia” probabilmente più famosa e più tradita della Storia, non vi fa capolino neanche un attimo. 

Dev’essere per questo che il film ha ottenuto il via libera della Chiesa, e persino la sua approvazione.

Il messaggio vi rimane nel migliore dei casi metafisico, salvifico ma misterioso, portato da un alieno impossibile a integrarsi col popolo che è venuto a “salvare”. 

Là dove il Vangelo è invece un capolavoro di umanità, di un Uomo-Figlio-Di-Dio ma ancor più Fratello-degli-Uomini che non solo “muore” per loro/noi, ma che soprattutto VIVE per loro/noi. Carne, sangue, passioni. Ideali. 

Ideali che lui fa entrare nel suo sangue e se ne fa vettore (“Figlio”) mentre gli altri li osservano come irraggiungibili e a volte per paura o ignoranza li disprezzano.

Tutta la parte viva del Vangelo, accuratamente e “scientificamente” depotenziata, filtrata, neutralizzata e “sanificata” dalle Chiese per rendere il Messaggio politicamente gestibile – rimane incredibilmente e allo stesso modo sterilizzata anche qui. Anche nel film dell'”eretico” Pasolini.

Perché non lo capisce, perché non lo sente suo, o perché vuole sabotarlo in quanto concorrente ideologico, Pasolini parte dal punto opposto della Chiesa-istituzione-politica per raggiungere il medesimo fine: ridurre la forza straripantemente vitale e attuale del Vangelo a racconto, se non a favola; a liturgia visiva; a storia, a fatto del passato.

Pur di ottenere il suo scopo, si riduce al ruolo di quei nonni che allungano i loro racconti per far addormentare i nipoti.

Gesù è sempre lontano, distante, superiore. Giudica, ammonisce, condanna. Si sacrificherà, certo: ma come un atto di generosità gratuito che gli uomini non meritano. L’estrema testimonianza della propria superiorità, della propria diversità e altera alterità.

Un Gesù-Dio, e un Dio anche abbastanza incacchiato. Non certo un Gesù-Uomo, o il Figlio dell’Uomo come oggi, nei nostri tempi apparentemente più morbidi, si preferisce dire e non a caso.

Nei toni, più Vecchio che Nuovo testamento. Più Giudizio Finale che Nuova Alleanza. Più paura della dannazione che via verso la salvezza.

La recitazione è uno strano, a volte ridicolo, miscuglio tra la sacralità/ieraticità/distanza richiesta evidentemente dal regista, e il piccolo paniere espressivo portato inevitabilmente in dono dai poveri contadini cui è affidata. Improvvidamente? Forse. 

A meno che l’intento non fosse appunto, più o meno celatamente/consapevolmente, quello di nascondere il messaggio, anziché svelarlo o anche reinterpretarlo – rischiando così di far proseliti anche nel proprio campo e regalarli al nemico cattolico-democristiano, già così forte nelle tradizionalissime masse contadine, anche quelle a forza e in tutta fretta comunistizzate

Sminuirlo, insomma, rispetto al privilegiato messaggio marxistico? Chissà.

Completa il quadro della distanza narrativa (voluta? sabotatrice?) una colonna sonora non solo piena di astrusi e non di rado urtanti vocalizzi (la condanna-alla-banalità di tutte le filmiche dedicate all’antico, sacro o meno – a cui neanche Pasolini è riuscito a sottrarsi), ma un sonoro arcaico e spezzato, anch’esso estraneo ad ogni vitalità, anch’esso imposto al contesto, anch’esso altro che contribuisce all’estraniazione dello spettatore di buona volontà che si sia spinto fin lì.

Pochi movimenti di macchina, spesso imprecisi, con sbavature e mossi a volte mascherati da tagli brutali. Dialoghi scontati e pedissequamente attinti alle scritture. Ben poco cinema, insomma. 

Poca creatività. Poca invenzione. Nessun colpo di reni o di scena. Una specie di compitino fatto perché si deve. Magari di malavoglia. 

Più teatro fotografato. Più fotografia parlante. Che cinema.

E in effetti l’unica cosa rimasta potente in questo film sono i quadri disperati della Murgia arcaica e contadina, di Matera, delle colline pugliesi e lucane. Le distese, le solitudini, gli uomini sperduti in una natura che li sovrasta.

Se dovessi giocarmi l’ultimo centesimo su una scommessa, lo punterei sull’ipotesi che Pasolini, se non è stata mera fascinazione dell'”altro” – così naturale per anime sensibili come la sua, e che però altro rimane – se progetto cosciente vi è stato, scommetterei che sia stato quello di sminuire il Vangelo, la sua forza apocalittica e intrinsecamente rivoluzionaria, a vantaggio del più “scientifico” e “concreto” ma in confronto ben più scialbo e settoriale marxismo.

Sminuire la rivoluzione dell’amore (“ama il prossimo tuo come te stesso“), per mettere in primo piano quella dell’egualitarismo sociale e della redistribuzione della proprietà-riscattata-dal-furto.

Per caso o per scelta che sia stato, questa sola ipotesi spiega con sufficiente chiarezza quel profluvio didascalico di citazioni, proclamate o declamate con la stessa monocorde astrazione da un Gesù provvisoriamente-ospite, provvisoriamente e accigliatamente uomo.

Citazioni che quello stesso tono costringe a diventare uguali e indistinguibili. 

Schiacciando le differenze e quindi riducendo versi realmente esplosivi come quelli della cruna dell’ago, del mantello per i poveri, o come lo strepitoso e (ahinoi) sempreverde “i superbi saranno umiliati, gli umili saranno esaltati” – riducendoli a meri coinquilini indifferenziatamente a fianco di quelli favolistico-miracolistici (i pani e i pesci, per esempio) e ad altri minore o scarsa importanza.

E tutti, però, versi grandi e piccoli, quotidiani o fantastici, umili o superbamente alti, si perdono ugualmente nel vento del deserto murgiano spopolato e “altro” (ben diverso dai luoghi originali in cui non casualmente Pasolini si è rifiutato di girare), sullo sfondo di una Lucania e di una Puglia “altre” rispetto al Paese, sopravvivenze contadine in via di estinzione nell’epoca del boom industriale ed economico – altrui.

Dopo la bella partenza di ieri, con i Domenicani pieni di tutta la supposta intellighentsia cittadina (supposta perché c’eravamo anche noi…;), oggi è appunto la volta di questo film, all’interno di questa lunga, ricca, meritoria e impegnativa iniziativa dedicata al Vangelo di Pasolini nel quadro della Murgia, che resterà in cartellone a Ruvo fino a domenica 19 ottobre.

Oggi, di Pasolini, arriva il Gesù. Il Vangelo secondo Matteo

E, avanzo di cineteca o capolavoro che sia, andateci e vedetelo. Altrimenti mi farete pensare di aver scritto invano e di non avervi incuriositi neanche un po’.

Per il dispiacere potrei non scrivere più.

O è proprio questo che volevate? 🙂

Picture
Una Fondazione per la Cultura Libera.  
Sostieni il progetto con una Donazione.

TRASFORMIAMO IN RICCHEZZA 

LE OPPORTUNITÀ