Bella Di Giorno

Le gemelle diverse a confronto
Andiamo a trovare degli amici a Terlizzi e poi insieme andiamo a mangiare una pizza. Sabato 13 settembre 2014.
Terlizzi: la città comparativamente più simile a Ruvo. Stessa popolazione, stesso reddito, stessa tradizione agricola, stessa distanza dal mare.

Praticamente due sorelle gemelle.

Eppure.
Terlizzi, che pizza!
La pizza è ottima. Ma questa è l’unica cosa che riuscireste a trovare anche a Ruvo.
La mangiamo tranquillamente in una pizzeria su uno dei Corsi principali della cittadina, seduti all’aperto di una serata dolcissima e mite.
I Corsi sono illuminati a giorno. Bellissimi. Caratterizzati anche qui da tigli, tuttavia molto più giovani e molto meno maestosi dei nostri. In compenso però senza ragni rossi e parassiti vari, e quindi non in pericolo.
Ma non importa. L’effetto di tanta luce è folgorante. Specie per dei ruvesi ormai assuefatti (ma non rassegnati) a ben altri standard.
Terlizzi, illuminata fin negli angoli più remoti
E siamo in tanti, inaspettatamente, ruvesi in questa pizzeria all’aperto che si riempie sempre più.
Tutt’intorno il passeggio incessante, perlopiù giovani, ma anche adulti e famiglie con bambini.
Insomma sembra incredibilmente di essere in una Città Viva. Quella che dovrebbe essere anche da noi la normalità. E invece…
Eppure è assolutamente un sabato qualunque.
Non ci sono festival, non ci sono sagre, niente zinnannà. Anzi il Festival c’è: ma a Ruvo.
Qui, in tutto il centro storico NON abbiamo visto un solo esercizio che utilizzasse la musica per attirare clienti.
Ed è ciò che stupisce di più. Perché non stiamo parlando del “richiamo”, del “nome”, dell'”evento” o chissà che altro; ma della assoluta normalità.
Che voglia dire qualcosa?
Se un Turista per caso…
Se un turista o il classico marziano scendessero oggi qui da noi non avrebbero alcun dubbio: è Terlizzi, non Ruvo, la perla turistica.
E se per caso qualcuno gli dicesse: no, guarda, Ruvo è tutt’altra cosa. E se quello sventurato avesse la pessima idea di andare a verificare, vedrebbe quello che abbiamo visto noi tornando verso mezzanotte.
Cioè solo 5 chilometri e tre minuti dopo aver lasciato tutto quello splendore illuminato.
I magnifici corsi ruvesi bui. Ma proprio bui: non semplicemente “poco illuminati”.
Fanno paura. Letteralmente. Provare per credere.

E lì a qualche isolato dev’esserci ancora lo zinnannà, l’estremo tentativo di deviare l’attenzione dal disastro, come la stanzetta illuminata in cima alla rocca diroccata, sull’orlo della definitiva scomparsa.

Il primo bar, desolato, semibuio di fronte allo strazio senza fine della Villa comunale, sta spegnendo e ha già ritirato le sedie.In due bar della parte centrale di Corso Cavour si intravedono delle sagome, gruppi di ragazzi seduti come fantasmi, che chiacchierano nel buio più completo, ombre tra le ombre.

Solo alla fine, vicino Piazza Bovio, l’ultimo bar resiste diffondendo una luce fioca, come una candela in una notte infinita.
È questa la mia Città. La nostra.
Tremila anni di Storia, spesso di gloria, sepolti nel buio più pesto.
Un ring di viali alberati, i Corsi, che l’architetto Del Rosso non si stanca di paragonare a quelli delle più grandi capitali europee. Ma nascosti alla vista di chiunque.
La Città Morta. Uccisa. Vittima di una spietata congiura, di una tragica odissea ventennale.

Una Città che nonostante tutto, nonostante lo scempio di Piazza Dante e gli altri allegramente in programma, rimane ancora bellissima. Ma solo fino al tramonto.

A questo l’hanno ridotta generazioni di politici inconcludenti e nefasti, di ogni genere e colore, cultori e fautori del disastro.
Con l’apoteosi dell’amministrazione in carica, campione mondiale di insipienza e di immobilismo, di faccia tosta e inaffidabilità. Il Festival vivente dell’inefficienza.
A questo hanno ridotto la nostra Città. A una Bella di Giorno. In perenne attesa dell’alba.