L’ignoranza al potere


Un Città senza Memoria celebra la “leggenda” dei suoi antichi aguzzini


Gordon Mitchell, nei panni di Guy de La Motte, sfila per Corso Cotugno nel 1983 1982 (Foto Carlo Crispo)

 


Chissà cosa ne penserebbe il povero Giovanni Jatta senior – che ingaggiò e infine vinse una lunga e difficile battaglia giudiziaria per strappare Ruvo e i ruvesi alle angherie plurisecolari dei Carafa



Nel 1983 qui a Ruvo si festeggiò in grande la Disfida di Barletta. E già lì l’aspetto storico, col senno di poi, si potrebbe discutere. Ma in qualche modo ci poteva anche stare.Ruvo era all’epoca della Disfida (13 febbraio 1503) una piazzaforte sotto controllo francese. Perciò è logico che, essendo i tredici guerrieri-concorrenti francesi partiti da Ruvo, che era la loro base, la Città possa oggi entrare nei “festeggiamenti”.

Ma senza dimenticare che erano occupanti.

Il che ci metteva storicamente in difficoltà, in ogni caso. Perché se avessero vinto ne sarebbe risultata rafforzata l’occupazione francese su Ruvo.

Se avessero perso, come avvenne, contro i tredici italiani al servizio della Spagna, avrebbero mostrato una debolezza di cui gli spagnoli avrebbero approfittato alla prima occasione, sfruttando il vantaggio psicologico e informativo acquisito.

Appena dieci giorni dopo, infatti, tra il 22 e il 23 febbraio 1503, cioè appunto alla prima occasione utile per mettere in pratica un piano evidentemente già preparato, Ruvo fu espugnata e messa a ferro e fuoco da quegli stessi spagnoli.Perciò, per così dire, c’era poco da festeggiare. Come ben sapevano i ruvesi del tempo.

 
 


Foto collezione Damiano Vendola

La Storia e la leggenda

E poco ci sarebbe stato ancora da festeggiare ai nostri giorni, se non per l’intemerata abitudine di ignorare la Storia e i suoi duri ma vitali insegnamenti, per ridurre tutto a carnevalate senza profondità e senza prospettiva, buone solo per il consumo veloce col nobile pretesto della “Cultura”, e in realtà con l’unico scopo di accendere graticole, anche se a bruciare è la Storia, cioè, se lo si sa leggere, il Futuro, di una Città.

Nulla di strano, se l’obbiettivo è richiamare le mirabolanti “folle di turisti” che, come al solito, solo gli organizzatori vedono. Addirittura “30mila“, dicono, l’anno scorso: si vede che ero emigrato… 😉

Quest’anno, chissà, 60mila? Trecentomila? E se almeno una volta ci spiegassero come hanno fatto a contarli… Sono anni che aspettiamo i famosi “dati”.

Ma evidentemente questo non ha importanza. Non ha nessuna importanza. Francia o Spagna, purché se magna.

Beninteso: niente in contrario (anzi!) a un sano marketing del territorio che crei anche eventi di richiamo. Ma perché rovinare la Storia? Perché offendere l’Identità profonda di una comunità?

Hollywood sul Corso

Detto questo, però, relativamente alla Disfida si poteva al minimo salvare l’idea che comunque questa sfilata raccontasse ai ruvesi di oggi, quanto meno, che avevano avuto un passato (e quanto di più si potrebbe fare se quel passato, che è ben altro che la Disfida, fosse insegnato e conosciuto adeguatamente).

E poi, come dimenticare la Città strapiena per la maestosa cavalcata hollywoodiana sui Corsi del grande (anche nel senso che sembrava gigantesco) Gordon Mitchell, nientedimeno che il “cattivo” per eccellenza del cinema di genere a livello mondiale?

La sfilata in piazza Matteotti (Foto collezione Damiano Vendola)


Non so quale fosse l’amministrazione di allora, ma forse c’era la capacità di pensare in grande. O forse un colpo di fortuna, visto che la cosa non si ripeté. Chi può dirlo…

O più semplicemente, e probabilmente, l’arrivo periferico di fondi pubblici stanziati per “distribuire sul territorio” l’allora finanziatissimo revival della Disfida barlettana.

Ma Ruvo, in questo affollamento carnascialesco della rievocazione “storico”-popolare, ebbe senza dubbio il suo momento di gloria nel sacro rito politico-mediatico della chewing kult, la cultura-da-masticare.

La leggenda al contrario

Oggi la Storia è ugualmente fuori moda. Forse più.

Lo abbiamo sottolineato mille volte. E recentemente abbiamo dovuto battagliare un po’, di fronte alla incomprensibile cancellazione, per fortuna ancora a livello di progetto, di un pezzo importante della Identità cittadina, già così negletta e misconosciuta.

Eppure, come tutti sanno, non c’è limite al peggio.

Così eccoci all’incubo della rievocazione all’incontrario. Alla cosa che non solo non rispetta la Storia (ahinoi, non certo una novità) ma addirittura la rovescia, la stravolge, in un empito incomprensibile che finisce per ridicolizzare la Città.

Parliamo ovviamente di questa rievocazione dei Carafa e della loro presunta “leggenda”.

Il povero (e grande) Giovanni Jatta si starà rivoltando nella tomba. L’uomo che più di ogni altro ha iniziato a fermare l’emorragia di identità più che bimillenaria di questa Bella Addormentata (e Sepolta) di Città; l’uomo che, pur nei limiti del suo tempo, ha finalmente restituito Ruvo ai ruvesi, scacciando anche in tribunale i Carafa e le loro pretese feudali – chissà ora, vedere che la Sua Città ha già dimenticato ed è prona a festeggiare e celebrare i suoi plurisecolari carnefici…

Perché i Carafa questo sono stati, per secoli: gli sfruttatori e gli aguzzini di Ruvo e dei Ruvesi.

Vero è che vi è un Carafa, Ettore, anche lui “conte di Ruvo”, vissuto nella seconda metà del ‘700, la cui indole “rivoluzionaria” gli ha procurato, anche a compensazone della cattiva sorte in vita, la gloria postuma nientemeno che dell’intitolazione di uno dei magnifici Corsi cittadini.

Ma si tratta in ogni caso di personaggio che gravita totalmente, come gli altri Carafa “Conti di Ruvo”, su Andria, non su Ruvo. E che non ha nulla a che fare con alcuna “leggenda”.

Lo stesso Carafa contro il quale appunto Giovanni Jatta riuscì a vincere il giudizio ed ottenere almeno un minimo di diritti, dopo tante spoliazioni e umiliazioni, per la comunità ruvese.

E anche volendo promuovere Ettore, l’ultimo rampollo dell’ennesima famiglia “nobile”, cioè parassitaria, napoletana mandata qui a godere e sfruttare brutalmente il suo feudo per servigio al re borbonico, non certo ai Ruvesi né agli Andriesi – come giustificare questa presunta “leggenda” dei Carafa? E infatti non si giustifica.

Perché non solo, riducendo la Storia a “leggenda, si passa dalla testa alla coda (per non dire altro) della classifica, riducendo tutto a gossip e fantasticherie, facendo dell’immenso motore storico una baggianata mediatica degna di ben altri e ben noti principati e monarchie da rotocalco.

Ma nel nostro caso c’è ben di più. Perché si va oltre il ridicolo e si cade nel grottesco.

Perché dove si è visto mai un popolo che celebra la dinastia dei suoi più famosi aguzzini? A tal punto è arrivata l’intollerabile dimenticanza di sé di cui soffre questa Città.

Fatte le dovute proporzioni, e senza offesa per nessuno, è come se, sia pure fra qualche secolo, l’Associazione vittime del terrorismo festeggiasse la “leggenda” delle Br o dei Nar, o le vittime di mafia la dinastia dei Riina; o gli Ebrei la “leggenda” nazista.

Ma che senso ha?

L’Europa riderà di noi

Per fortuna questo, almeno, non è possibile. Ma tutto il resto lo è, in una Città Senza Memoria, che ha dimenticato sé stessa.

L’Europa riderà di noi. E quando sapranno che non è neanche la prima volta – che siamo anche probabilmente l’unica Città d’Europa che sta per fallire pur non avendo una sola lira di debito proprio – beh, la risata sarà universale.

Ma si vede che è così che deve andare. Questo è il prezzo che esige il mostro che ci governa. L’Ignoranza al Potere.

Mi chiedo però se i tanti uomini di Cultura, di Storia e non solo, di questa Città, vogliano continuare a stare in apnea o non pensino sia il caso di uscire allo scoperto.

Se vogliano tollerare in eterno che le parti più importanti della nostra Identità siano misconosciute e sacrificate – e sorvoliamo sui risultati – unicamente al solito idolo, con in mente la graticola e il supposto turismo culturale (leggi: mangereccio) come unico “valore”.

Mi chiedo per quanto tempo ancora questa Città possa sopravvivere senza un Progetto, senza una Visione lunga e non superficiale, senza una profonda riscoperta di sé, senza una grande alleanza di Cittadini, Associazioni, Imprese che si liberino dai rispettivi egoismi e mostrino di capire che, specie in un Città devastata da vent’anni di disastri politici, come la nostra, nessuno si salva se non si ricostruisce la nave in cui tutti viaggiamo. Se non le si da una rotta, e un equipaggio all’altezza.

L’anima alla berlina

Ben diverso è invece mettere in piazza, alla berlina, l’anima della Città, e dichiararla anzi festeggiarla schiava di coloro cui la Città stessa ha tenacemente resistito per secoli fino a cacciarli. Altro che sindrome di Stoccolma. Qui non soltanto diventiamo amici dei nostri antichi aguzzini. Li facciamo santi, addirittura.

Questo accade, tristemente, a furia di ignorare l’immenso patrimonio storico (e non solo) di questa Città. Che non ha proprio bisogno di ispirarsi a nessun altro, ma semmai di conoscersi meglio. Per poter ispirare a sua volta, come è giusto che sia.

Doversi ispirare altrove, avendo il tesoro in casa, davvero è uno scandalo che non si riesce neanche a dire.

La Città della Cultura risponda, se ce n’è una.

Altrimenti vorrà dire che questa Città non ha, inguaribilmente, Memoria. Che non merita la sua Storia. E che può solo inchinarsi ai Carafa di turno, o a chiunque altro riempia, se le riempie, per una sera le botteghe. Per farle magari fallire l’anno dopo.

Perché a questo porta quella particolare forma di cecità che è l’ignoranza della Storia. A cadere.

Solo che qui, nella Storia, non c’è nessun samaritano che ti aiuta ad alzarti. Specie se si chiama Carafa.

mario albrizio