La Scuola al capolinea


I fatti del Liceo Tedone sono di una gravità estrema proprio perché attribuiti a quel Liceo, il fiore all’occhiello della nostra istruzione.


19 indagati, perlopiù docenti, insieme al preside a alla inquietante presenza (se confermata) del Provveditore/consulente – sono qualcosa che va al di là della più pessimistica immaginazione.


Se saranno dimostrati come veri, meriteranno la più severa delle sanzioni.

Ma su questo non possiamo far altro che aspettare i risultati del lavoro della Magistratura – e nel frattempo conservare non solo la presunzione di innocenza, ma la normale stima e il rispetto che si devono a persone umane, e a docenti, che si ritrovano semplicemente nel registro degli indagati e non hanno ancora avuto alcuna condanna.

Possiamo dire invece già molto sulle cause strutturali di questo scandalo. Che, dicevamo, è uno scandalo ancor più scandaloso proprio perché coinvolge il Liceo Tedone.

Per essere più chiari, il problema non è (se non in minima parte e ammesso che ci sia del vero nelle accuse) che al Tedone ci sia eventualmente stata una gestione illegale e/o immorale contro la natura stessa della Scuola che, come hanno giustamente rimarcato gli stessi studenti, ha innanzitutto lo scopo di formare buoni cittadini.

Il problema va visto da tutt’altra prospettiva: e cioè che il marcio nella Scuola è (sarebbe) arrivato a un livello tale da  coinvolgere persino il Tedone, uno degli ultimi baluardi di scuola funzionante. Aperto mattina e pomeriggio, spesso fino a sera inoltrata, col preside instancabilmente in prima fila e molti dei docenti inquisiti con lui.

Una cosca mafiosa al lavoro? Suvvia, non è per nulla credibile. Tenendo conto di come è fatto l’essere umano medio, se essere mafiosi fosse così faticoso, la mafia sarebbe estinta da un pezzo.

Conosco personalmente e da lungo tempo alcuni degli indagati. Escludo nel modo più assoluto che possano essere invischiati nello squallore che vien fuori dalle (sempre sommarie) ricostruzioni di stampa.

Chi conosce la Scuola sa perfettamente qual è il vero problema. O meglio, qual è l’ultimo problema, la punta dell’iceberg. Ovvero, i famigerati programmi Pon, i fondi distribuiti nelle scuole dall’ineffabile Programma Operativo Nazionale.

Facciamo un passo indietro per capire meglio

La Scuola italiana è inefficiente e costosa, con molte lodevoli eccezioni, a volte spettacolari. Ma mediamente è così. Meno costosa che altrove, ma anche meno efficiente. Meno scuola.

Soffocata dalla burocrazia. Svilita dalla perdita di prestigio dell’immagine dei docenti e dal loro impoverimento non solo sociale. Fatta a pezzi (letteralmente) dall’incuria, dalla colpevole ignoranza e dal pressapochismo dei governi di ogni colore, con la metà degli edifici scolastici che non hanno neanche l’agibilità: non dovrebbero neanche essere frequentati!

Ma è soprattutto nell’ultimo ventennio che la scuola pubblica è stata massacrata. Nel ventennio “televisivo” e della verità più che mai addomesticata, l’unico baluardo di libero pensiero è stato oggetto di continui attacchi, di pesantissimi tagli, e della più vergognosa sfilata di incapaci al comando di un Ministero già non certo favorito dalla Storia né dalla Sorte.
La crisi, poi, sta dando il colpo di grazia ad una situazione già comatosa.

Ora, in una Scuola ridotta sul lastrico – proprio l’altro giorno ho incontrato un amico e collega che insegna Filosofia al Tedone, e che vi portava la carta igienica (sì, avete capito bene)  – in una scuola VOLUTAMENTE, perché inefficiente sì, ma libera e indipendente, ridotta sul lastrico, magari a vantaggio delle ben più addomesticabili scuole private – in una scuola SCIENTIFICAMENTE RASA AL SUOLO che cos’altro si potevano inventare i governi spilorci e incapaci per finire l’opera?

I Pon, appunto. Cioè, non potendo e non VOLENDO aumentare decorosamente, strutturalmente, gli stipendi e gli investimenti (magari, aggiungiamo noi, stabilendo anche parametri seri di controllo dell’efficienza), i demenziali distruttori della scuola pubblica hanno pensato bene di gettare un po’ di soldini tra le gambe dei docenti.

Un po’ di becchime per vedere se riuscivano a ridurli come polli, a farli azzannare tra loro per qualche briciola.

E – avendo girato scuole di ogni tipo in ogni parte d’Italia – garantisco che i polli non sono mancati in nessuna scuola. A volte pochi, a volte un po’ di più, quasi mai maggioranza ma SEMPRE in numero sufficiente a condizionare pesantemente quel che rimane della didattica e della libertà di insegnamento garantita dalla Costituzione.

Chissà perché a nessuno è venuto in mente che i Pon sono con ogni probabilità incostituzionali, in quanto creano diversità e disparità di trattamento tra docenti, NON in base a meriti e capacità o carichi di lavoro, NON sulla didattica, ma sulla capacità di mettere su delle attività extracurricolari molto spesso (non sempre, ovviamente) al limite del ridicolo, o oltre.

E se in ogni scuola c’è sempre il gruppo di docenti che in ogni caso tratta questi fondi e questi progetti con la dovuta dedizione (traendone spesso dei veri capolavori) è anche vero che in nessuna scuola si sono risparmiati beccate sanguinarie e a volte mortali tra aspiranti alla spartizione dei tozzi di pane dei Pon. Lo spettacolo più vergognoso che la classe docente possa dare.

E sono sempre gli stessi a dare quello spettacolo orrendo, quel vero e proprio SUICIDIO della MISSIONE DOCENTE. Sono sempre i docenti più deboli, meno preparati, meno motivati, meno memori della laica sacralità della loro funzione, più sensibili agli arrotondamenti. Quelli che magari fanno le ripetizioni a casa, in nero, ai loro stessi alunni (ahimé, a volte è accaduto davvero).

Per poche centinaia, nei casi più succulenti non molto più di un migliaio, di euro in UN ANNO, questi docenti (una piccola parte, ma molto rumorosa e spesso radicata) sono capaci di dare di sé tali spettacoli che, al confronto, i proverbiali polli di Renzo sembrerebbero consumati diplomatici.

Bisogna dire che la mossa ha funzionato. Il becchime ha tirato fuori il peggio e ha pollificato selvaggiamente tanti docenti, o formalmente tali. Così, dopo aver perso la stima sociale, molti docenti hanno perso anche la propria. Missione compiuta…

Chi non partecipa a questo orrendo banchetto auto-cannibalico, ha solo due strade. Si astiene e si isola – e viene sempre più emarginato. Oppure prova a governare il caos, privilegiando a sua volta o progetti della propria cerchia (o cosca?); oppure cercando di dare al becchime un utilizzo, e un indirizzo, funzionali alla strategia di fondo della propria Scuola e/o della propria visione dell’insegnamento.

È quello che, secondo me, è successo al Tedone – se qualcosa è successo. 
Qualche errore ci può essere stato. Qualche dettaglio fa pensare anche me. Si può essersi fossilizzati nell’abitudine. Si può aver peccato di dirigismo e forse è anche possibile dell’altro…

Ma sempre nel campo dell’errore veniale. L’errore del timoniere che prova una manovra disperata per evitare di centrare gli scogli contro i quali tutte le indicazioni del suo comando nazionale e provinciale lo mandano tutti i giorni.

Un piccolo Titanic, nel grande Titanic della Scuola italiana, nel grandissimo Titanic della società che affonda. Un posto dove è facile perdere la bussola, semplicemente perché non c’è bussola, né direzione. Solo tirare a campare. Al massimo schivare le contraddittorie follie che ministeri e provveditorati ti rovesciano addosso quotidianamente.

Sopravvivere. E chissà per quanto ancora, nel gigantesco e insostenibile carrozzone scolastico dove tutto conta, burocrazia, sindacati, corporazioni, segreterie, provveditorati scandalosamente inefficienti, appalti a appaltatori – insomma tutto conta, ma proprio tutto, tranne che la cosa fondamentale: l’apprendimento degli allievi e la qualità dei docenti, e, direi anche, la sacralità del loro rapporto.

La sacralità della trasmissione del sapere. La vera origine nobile della nostra società e l’unica speranza di un futuro all’altezza dei nostri desideri, o almeno non troppo lontano. Il vero miracolo, che pochi coltivano, molti disprezzano perché produce libertà anziché ricchezza e sottomissione; e i più ignorano.

Sono personalmente convinto che il preside Pellegrini e la sua squadra avessero questo obbiettivo: di tenere in piedi una scuola che funzioni.

Sono anche certo che riusciranno a far valere in giudizio le loro buone ragioni.
A loro, in questo momento difficile, va tutta la mia solidarietà. E non ho dubbi che essi per primi vogliano che sia fatta giustizia presto e bene, fino in fondo.

Ma quand’anche il tempo e i mille nemici (interni ed esterni) abbiano avuto ragione – in tutto o in parte, per tutti o alcuni degli indagati – del loro valore e ne abbiano fiaccato la resistenza o il senso morale, quand’anche fosse (e ad oggi è tutt’altro che dimostrato), resta terribilmente vero che essi sono a loro volta vittime di un naufragio epocale.

Di una Scuola (italiana) che ha perso senso, che così non può più andare avanti ed ha assolutamente bisogno di essere riportata in vita.

Di una Scuola che dovrebbe essere, in ogni senso e in ogni modo, il CENTRO e il fulcro della società, e che oggi è relegata ai margini, ridotta a mendicare non la guida della società, ma la mera sopravvivenza.

È questo il vero problema ed è da qui che bisogna ripartire. Rifondare la Scuola in maniera tale che torni ad essere degna di occupare il centro e il cuore della società. Ad essere guida, non rimorchio né parcheggio.

Il lavoro sarà lungo e difficile, ma è indispensabile e ormai inderogabile. Sono stati moltissimi i segni premonitori nel corso degli ultimi anni. Ma la spia che si è accesa al Tedone ha una valenza in più. Vuol dire che non c’è più tempo da perdere. Neanche un minuto.

Bisogna salvare il Tedone. Bisogna salvare la Scuola. Perché è solo così che possiamo cominciare a salvare tutto il resto. 

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