Il Comune in Default. 4. Innamorati del sottosviluppo. Le possibili soluzioni.

 




Non so cosa pensiate in generale dei Piani regolatori. Io, per niente bene. La giustificazione ideologica, ovviamente, è alta: assicurare (nientemeno che) lo sviluppo armonico delle città e successivamente anche del territorio – o cose del genere.

La realtà, come quasi sempre in questi casi, è molto più terra terra. Anzi, sotto terra. Il PRG è uno strumento di governo politico, molto più e molto prima che di governo del territorio. 
 
Chi ha la fortuna di essere espropriato perché i suoi suoli ricadono nella zona di espansione, vede il valore di quei terreni letteralmente decollare, una volta che il magico Prg li ha fatti diventare, appunto, edificabili. Non ne parliamo poi se ha i mezzi finanziari per costruirci sopra.
 
Perciò gran parte della vita politica, in città dal precario sviluppo economico, specie al Sud, si riduce a cercare di trovarsi nella posizione di essere espropriati col prossimo Prg. O meglio ancora di poterci costruire.

E dall’altro versante, quello politico, a cercare di far coincidere la zona da espropriare con i terreni propri o degli amici, e i terreni dei nemici con la zona dimenticata da Dio.
 
Così, occupati a scannarsi tra loro, politici incapaci (o meglio, per il loro tornaconto, capacissimi 😉 e quei cittadini/possidenti che non guardano al di là del proprio naso, eviteranno di immischiarsi nelle questioni davvero importanti, che sono quelle dello sviluppo economico, politico, sociale e (prima che ogni altro) culturale.
 
Rimarranno sudditi o cittadini di serie B. Dileggiati e massacrati dai media. Costretti a mendicare protezioni, appalti e favori. Ma potranno di contro sfruttare le loro alleanze sotterranee (tra politici e imprenditori/possidenti, tra maggioranze e opposizioni spesso appartenenti alle stesse famiglie) per tenere sotto il resto della città. Tutti insieme appassionatamente legati al sottosviluppo civile e socio-politico-economico.
 
Così si spiega, tra l’altro, come mai dopo 151 anni di “Unità” e quasi altrettanti di Piani regolatori (il primo è del 1865), la nostra città, che è generalmente considerata “ricca”, registri solo il 62% del reddito pro-capite della media nazionale. Avete letto bene: il 62 per cento: poco più della metà.
 
Nelle condizioni attuali, è come dire che di fatto siamo liberi, e forse cittadini, solo a metà. O poco più.
 
Ma perché mai occuparsi di questo; perché parlare di Sviluppo e Legalità, quando, da 151 anni a questa parte, and counting, c’è sempre e ancora un bel Piano regolatore su cui sbranarsi – per poter  continuare a vivere sudditi e infelici?
 
I Piani regolatori, che sono in realtà piani di oppressione civile (attraverso cui, cioè, maggioranze e opposizioni si spartiscono il consenso elettorale) andrebbero aboliti subito – per recuperare sviluppo, ambiente e (tutt’altro che ultimo) democrazia

Togliendo lo sviluppo (urbanistico e non) delle città dal grigiore burocratico-clientelare e riaffidandolo all’intelligenza distribuita e collettiva dei cittadini.

Gli Enti preposti diano le regole, e i privati o le coop scelgano dove costruire in base a quei criteri (urbanistici, paesaggistici, di sicurezza, ambientali). Avremmo immediatamente case migliori, più belle, più sicure, più ecologiche e non ultimo, più economiche. 
 
Non le interminabili, disperate, deprimenti e tutte uguali periferie prodotte dalla micidiale alleanza tra gli spropositati appetiti di una classe imprenditoriale troppo spesso miope e la classe politica incestuosamente complice o visceralmente nemica, col risultato di questi sciagurati Piani regolatori, che hanno reso l’Italia da Belpaese, Bruttaperiferia

 

Ma siccome, ahimé, questa soluzione sarà senz’altro considerata troppo radicale (così infatti chiamiamo gran parte delle cose razionali che ci migliorerebbero la vita) – tocca parlare del Prg attuale e del suo degno (anche nei vizi) erede Pug.

Torniamoci pure. Ci premeva però mettere in chiaro che il Prg/Pug non è un frutto del decreto divino. E’ solo un modo, storicamente determinato, sbagliato e tutt’altro che disinteressato, di “governare” ovvero di sfruttare più i cittadini che non (secondariamente) il territorio. E di farsi sfruttare entrambi dai grandi “regolatori” regionali e nazionali. Così è, se vi piace. E anche se non vi  piace.

E tutto questo senza ancora aver detto una parola sul formidabile potere mafiogenico dei Prg, sulla loro intrinseca capacità di creare mafia

Dal sacco di Palermo in su e in giù, il Prg è sempre una potente fabbrica di mafiosità: sia quella “normale” intensiva e sanguinaria, che quella endemica, estensiva e soffocante, appena appena meno urticante ma ugualmente micidiale e assassina, che chiamiamo clientelismo: ciò che uccide i meriti e le capacità, promuove i soliti idioti apparentati, e affida loro le città e gli Stati. Con gli esiti che tutti sappiamo.
 
Ciò premesso, torniamo al nostro calvario civile cittadino. Gli espropri e i loro protagonisti.
Da “La città e il non luogo”
http://www.ruvolibera.it/2011/12/la-citta-e-il-non-luogo-ibeni-comuni.html


Buttare giù il Prg
La prima e più ragionevole soluzione locale sarebbe buttare giù il Prg, cancellarlo e rifarlo da zero. Il Prg è infatti talmente zeppo di errori e assurdità, e talmente gravato da sentenze negative, che rischia di diventare (se non lo è già) il classico blocco di cemento che ci trascinerà a fondo.

L’illustre firma di consulenti universitari e di politecnici non basta infatti ad evitare errori madornali, di cui daremo conto nell’appendice – che non sarebbero stati mai e poi mai fatti da una commissione di tecnici locali, buoni conoscitori del territorio.

Ma si sa. Viviamo di apparenze. E la firma di una università (e Dio solo sa cosa sono le università italiane) è a priori “meglio”. È un’etichetta di (presunta) civiltà. Proprio come l’avere un Prg. Magari sbagliato. Ma avercelo, e firmato: come una maglietta: quello sì che fa figo.

Piani regolatori fatti a tavolino, senza conoscere il territorio.

Ma, si dirà, il Prg sta per essere sostituito dal Pug. Vero (forse). Ma ininfluente. Il Pug infatti lascia invariato il Prg, e si limita ad aggiungerci il centro città ed alcune aree periurbane o rurali.

In termini aritmetici: Prg+Centro storico+aree periurbane=Pug. 

Con un problema in più, visto che la normativa Prg e quella centro urbano cozzano spesso tra loro: ciò che si può fare per l’uno non sempre si può fare per l’altro e viceversa. Giusto a proposito dello sviluppo “armonico” di cui sopra…;-(

E un secondo problema, non meno grave. Il Pug di Ruvo, infatti, non ha un “taglio”. Si limita a imporre delle regole, spesso in contrasto tra loro, ma non spinge la città in una direzione precisa.

Mentre i Pug/Prg delle altre città le hanno portate al boom economico-edilizio – ragionano all’Associazione costruttori – da noi ci si aspettava un Pug capace di provocare un controboom, che per esempio facesse tornare i ruvesi emigrati per convenienza.

Ma questo – aggiungono – è un Pug di sottosviluppo. L’unica cosa che aumenterà è il contenzioso. 

In coerenza con l’altro – aggiungiamo noi…

Ma torniamo al problema.

Prima soluzione radicale locale: buttare via il Prg e riscriverlo con tecnici locali, che si sono offerti di rifarlo anche a costo zero.
Sostanzialmente poco praticabile; ma pur sempre un punto di riferimento teorico.

Mano sulla coscienza
Prima di passare alle altre soluzioni aggiungiamo due dati importanti, trapelati da sicura fonte “comunale”.
1. La stima del contenzioso finale, fatta in Comune, è di 17,5 milioni. Questa è la cifra che serve recuperare.
2. La Regione ha detto NO a qualunque scambio con volumetrie a DM (cioè, in sostanza, cedere ai costruttori espropriati altre aree su cui edificare). 

A questo punto, aggiungono le stesse fonti, non rimane che sperare che “i costruttori si mettano una mano sulla coscienza“.

A favore di questa ipotesi gioca la constatazione che un Comune fallito non conviene a nessuno (salvo forse a qualche inguaribile mestatore in cerca di improbabili riscatti elettorali).

Ma di per sé è una carta debole. Perché il Comune non ha nulla “di solido” da offrire in cambio (per esempio, 1 milione al posto di 2), ed è ben difficile che la mano sulla coscienza dell’imprenditore/espropriato/costruttore si spinga fino al punto da ignorare il portafoglio e inghiottire il rospo di un lungo e costoso contenzioso irrisolto.

Perciò, seconda soluzione o mano sulla coscienza, sostanzialmente impraticabile. 

Presa di responsabilità
Terza soluzione. La chiameremo della presa di responsabilità. Chi ha amministrato la città ed ha concorso al disastro, dimostra di averlo fatto in buona fede e chiede un prestito bancario dando in garanzia i propri averi. 

Con quel prestito il Comune fa fronte all’obbligo. Riscuote dai soci di cooperativa (senza dubbio destinati a pagare) e restituisce agli ex amministratori. Che così riacquisteranno almeno l’onore così platealmente perduto. E, in qualche modo, il diritto di parlare di politica.

Punto debole? Ci vuole un bel coraggio e un senso civico fuori dal comune. E qualche proprietà…

Rivincita
Quarta soluzione: della rivincita. Il Comune passa all’azione e fa causa a quei precedenti amministratori che hanno amministrato infrangendo/forzando la legge e creando le premesse di questo immane disastro.

Problema: potrebbero non esserci più i tempi legali per farlo. Altro problema: il Comune e l’Amministrazione Ottombrini, pur essendo un’amministrazione dignitosa – non brillano per combattività.

Non hanno ancora preso una posizione chiara, pubblica e comprensibile sulla denuncia subita per la scorsa campagna elettorale; figuriamoci se avranno l’animo di attaccare il problema alla radice. Naturalmente, speriamo di sbagliarci…

Gentlemen agreement
Quinta soluzione: gentlemen agreement: un accordo tra gentiluomini. I  costruttori/creditori si mettono d’accordo e concedono una moratoria. Cioè, in sostanza, consentono al Comune di pagare a rate. 

Problema: è necessario che, dall’altro lato, i soci di cooperativa concordino nel pagare a rate. Basta uno solo contrario e tutto si può sfasciare.

Sesta soluzione: il Comune chiede un prestito che rimborserà con le rate dei cooperativisti. Sempre che trovi qualcuno disposto a finanziarlo. E sempre che i cooperativisti siano concretamente d’accordo. Basta uno solo, ecc… ecc…

La soluzione vera, probabilmente, è un mix di queste soluzioni.

Un mix che deve essere gestito a un livello di autorevolezza e di competenza senza compromessi.

E’ probabile che i vari interlocutori accettino un sacrificio e di inghiottire qualche rospo se in cambio otterranno di fare piazza pulita di una classe politica che ha portato la città al pieno disastro. E sperare di recuperare in futuro ciò che hanno perso finora.

E mentre l’Amministrazione Ottombrini è percorsa da brividi di paura per la propria tenuta; mentre si spargono voci (scarsamente controllabili, ma di fonte affidabile) su “complotti” tra questo e quel membro della maggioranza con impresentabili relitti del passato – c’è di vero, di terribilmente vero, che il momento finale si avvicina.

Un patto 
La nostra proposta finale è un patto con i costruttori, gli espropriati, i cooperativisti e i cittadini: tutte le categorie che avrebbero drammaticamente da perdere da un Default del Comune.

Bisogna fare del Prg/Pug e del Default una questione pubblica. E chiedere su quella il voto dei cittadini.

L’amministrazione Ottombrini non sopravviverà allo tsunami che sta arrivando. Ma neanche merita di affondare per colpe non sue.

Perciò si parli alla città. Si dica finalmente come stanno le cose. Chiaramente. Senza mezze misure. Senza indoramenti di pillola e falsi ottimismi di triste memoria. Si spieghino errori, colpe e omissioni. Non c’è più nulla da perdere, quando tutto è perduto.

Siamo messi peggio della Grecia. Lo si dica. Nascondere il male può solo peggiorarlo.

Si sia chiari, facendo venire allo scoperto giochi e giochini inconfessabili che sono come l’allegria dei topi sul Titanic.

Si parli chiaro e si racconti la storia per intero.

E su quello si chieda il voto dei cittadini. E’ l’unica via d’uscita.

mario albrizio

 
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