La città ritrovata

Commuove la partecipazione di migliaia di persone, tutte unite… un lungo corteo che sicuramente visto dall’alto doveva sembrare un anello, come un muro di protezione del nostro paese. Un muro che grida giustizia e dice: di qui non si passa! 
(Grazia Di Rella su Facebook)



Alle 19, mezz’ora prima dell’inizio della fiaccolata, Piazza Matteotti è già piena. Qualcuno ha già le fiaccole. Tutti hanno la stessa voglia di esserci, di vivere questo momento collettivo e di dare testimonianza. Continua a arrivare gente alla spicciolata da ogni direzione.
 
Gli occhi sono puntati sul Comune, alle finestre dell’aula consiliare, dove si discute
sui provvedimenti da prendere. Si tarda un po’. Si accendono le fiaccole man mano che la luce del crepuscolo cede il posto alla sera. Qualche minuto prima delle otto si parte. Programma, un intero giro sui Corsi cittadini e, al ritorno, tappa finale al negozio di Pino.
 
La grande piazza è gremita. Ci posizioniamo ben distanti dalla testa, ma se ci guardiamo indietro vediamo che la coda del corteo è ancora più lontana. Migliaia di cittadini di ogni età e condizione, dai bambini agli ottuagenari e oltre. Moltissimi i giovani: sempre un buon segnale. 

Coppie di fidanzati, madri di famiglia, ragazzini. Senza colorazioni politiche, senza amici e nemici, senza sguardi torvi. Semplicemente, cittadini. Nella manifestazione più impressionante della nostra storia. Una di quelle cose che, nel racconto ai figli e ai nipoti, ci meriteranno di poter dire: Io c’ero.
 
Il corteo si snoda lentamente, con naturalezza, con partecipazione. Molti alle finestre. Moltissimi sui larghi marciapiedi. Solo nella settimana santa si può vedere una folla così, e neanche a tutte le processioni. Ma questa è una processione civile, niente statue né musica. Solo cittadini che dicono no alla violenza. In silenzio, perché il silenzio a volte è il migliore dei discorsi.
 
Ci si sente, finalmente, parte di un tutto più grande. Si percepisce a pelle quell’anima comune, quell’essere un’unica grande famiglia, che nel vivere quotidiano spesso si smarrisce. Ci si sente, città.
 
Ci troviamo spesso a criticarla, questa città, e magari a ragione. Noi stessi di RuvoLibera abbiamo cercato tante volte di sferzarla, chiamandola Bella Addormentata in un bosco pieno di lupi feroci. 
Ma oggi no. Oggi questa città c’è. Ed è forte. Unita nel silenzio e nello scopo di riconquistare la propria identità, la propria pace e la propria sicurezza.
 
Devo dirlo. Non sono mai stato un fanatico dei localismi e naturalmente mi sento da sempre cittadino del mondo. Ma oggi sono fiero di appartenere a questa città. A questa gente silenziosa che mantiene acceso l’impegno civile, e ben viva la speranza. 

Oggi, nella piccola parte di me stesso cui concedo di essere campanilistica, mi sento orgogliosamente ruvese. E sono sicuro che è il sentire di tutti.
 
Il corteo è impressionante. Nonostante la vastità dei Corsi, sembra che si ingrossi e si allunghi continuamente. 

E stupisce (e vivifica) la forza di quel silenzio. L’anima delle manifestazioni di piazza quando sono sentite; quando non si sono degradate a rito.
 
A chiunque sia venuta l’idea, è stata una genialata che ha compattato tutta la città. Chissà se mai sapremo chi è questo genio politico – mi chiedo mentre un po’ mi perdo nell’intensità muta dello spettacolo dello scorrere di questo fiume vivente.

Agli incroci decine di macchine ferme. Per decine di  minuti. Succede a via Cairoli, a Piazza Bovio, a via Santa Barbara, a Corso Cotugno/via Corato, a Piazza Cavallotti. Non un solo gesto di impazienza. Non un solo colpo di clacson. Davvero incredibile.

Una manifestazione silenziosa, di una forza, di una compostezza, di una civiltà che faranno Storia. Un fiume umano. Migliaia di cuori e un’unica emozione. Proprio come ieri, al funerale. Nessuno nella nostra storia ha avuto un onore del genere. Nessun riccone, nessun trombone del potere, nessun porporato. 

Fatte le dovute proporzioni, sembra più l’addio a un imperatore. E invece il protagonista è un umile salumiere, un figlio del popolo, uno che è partito dal nulla ma non si è lasciato scoraggiare, e ce l’ha fatta. L’esempio migliore.

Non un santo. Non un “eroe” come dice qualche manifesto frettoloso, nella smania contemporanea di eroizzare qualunque cosa – come se la realtà non fosse abbastanza interessante; come se la normale umanità non fosse il pilastro più importante della nostra società. Un uomo. Con i mille difetti di ogni uomo. Ma con qualche marcia in più. Un uomo nel nome del quale si unisce una città di solito così pronta a dividersi.

Vetrine spente, esercizi chiusi, saracinesche abbassate. Tranne qualcuno, che fa scandalo e suscita il mormorìo della folla che sfila: una banca, un negozio di scommesse, qualche esercizio sparso. Dissidenti o distratti? Pochissimi, ma si fanno notare. Se fossimo nei panni dell’Amministrazione comunale andremmo fino in fondo alla cosa. Un’ordinanza è un’ordinanza: va rispettata. E se no, va fatta rispettare.


Si torna su Corso Piave e questa volta si gira, fino al numero 35. I discorsi di rito. Siamo lontani e parlano a voce bassa, così non capiamo l’elenco dei provvedimenti adottati dal Consiglio. L’amplificazione è approssimativa, e forse nessuno prevedeva una tale massa civile.

Poi è la volta del Sindaco, Vito Ottombrini, che ringrazia per questa straordinaria partecipazione e invita all’unità, a restare compatti per vincere la sfida. 
 
Infine, mentre un improvviso varco tra la folla ci consente di avvicinarci un po’, prende la parola quello che non t’aspetti. Davvero, l’ultima persona al mondo che avresti pensato: il più riservato; il concreto, lavoratore poco aduso ai “discorsi”  Vito Di Bisceglie, il suocero e secondo padre di Pino.

Nel suo italiano poco accademico, per nulla retorico, da uomo del popolo, con la sua bella voce chiara e stentorea, fa un discorso che lascia il segno per semplicità e autenticità.
 
Ringrazia il vescovo, il sindaco, le forze di polizia che si sono mobilitate (“perfino da Napoli”). Non lo dice, ma si capisce che confida nel buon esito di questi sforzi.
Parla della sua famiglia, quella di cui ora è doppiamente padre. Li nomina tutti, fino ai bambini, senza cedere all’emozione, senza concessioni né richieste, con tranquillità. 

Parla di Pino brevemente, con rispetto, con affetto; del suo progetto di casa in campagna di cui era così contento. Ricorda ancora la gioia del genero quando, il giorno prima di morire, lo ha accompagnato lì per fargli vedere la casa ancora da rifinire. La finirò io per lui, promette il nonno ridiventato papà.

Sempre con serenità. E dalla sua bocca di bravuomo non esce una parola, NON UNA, di vendetta o di giustizia sommaria. Da questo muratore/costruttore cui è improvvisamente crollato il mondo addosso viene un esempio di civiltà su cui qualche anima forcaiola dovrebbe riflettere e non poco. Una famiglia unita nel dolore ma altrettanto nella dignità, nella riservatezza, nella civiltà.
 
Ringrazia i cittadini per la folta e accorata partecipazione, fin dal primo minuto, fino a questa serata straordinaria. Non ci siamo mai sentiti soli, dice. E poi rivela: l’idea della fiaccolata è stata sua. Chissà perché non mi stupisce.
 
La sua conclusione è un “Ciao Pino!” gridato con serenità al microfono per chiudere il discorso e la serata, mentre le campane a distesa, ancora, ci accompagnano con il più significativo dei sottofondi. Una serata magnifica, con una formidabile dimostrazione di maturità civile, di cui è stato bello essere una piccola parte. Una fiaccola di un corteo immenso che ha cambiato la percezione, e probabilmente la Storia, della città.
 
Una città finalmente ritrovata.
mario albrizio
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