A Campacavallo comando io!



È palpabile l’anomia che vige sovrana nel paese di Campacavallo.


Ed è sufficientemente noto che dove non vi sono regole il cavallo campa allo stato brado, fa quello che gli pare, scalcia, trotta, galoppa, va al passo. Non sopporta il morso, niente briglie. Il cavaliere è stato disarcionato perché non aveva le gambe forti, giacché il cavallo deve sentire che chi lo cavalca è forte, ha cosce forti. Le cosce devono avvolgere il cavallo, altrimenti è la fine, è l’equino che ti porta, non sei tu a portare lui.

Nozioni elementari di amministrazione della cosa pubblica: un capo deve essere in grado di tenere ben salde le briglie
e di virare a destra o a sinistra, ma con cognizione di causa. Un capo deve amministrare con sapienza e lungimiranza, e la sapienza, da quando mondo è mondo, contempla la conoscenza delle cose, un po’ di studio, che almeno si conosca la differenza che c’è fra un cavallo ed un ciuccio.

Un capo deve essere autorevole ma non autoritario. Un capo deve fare il capo e non il kapò. Un capo deve convincere attraverso la persuasione e le argomentazioni, mai attraverso l’uso della forza e lo scintillio delle sciabole. Un capo deve esprimere una forza tranquilla, non una debolezza estenuante e pocofacente, perché questa lassa attitudine scatena l’inferno, dischiude il vaso di Pandora, e finanche il più subordinato fra i subordinati si sente investito di funzioni di comando e può esordire in questi termini inurbani e fascistoidi: “Qui comando io!”.

Ma nel paese di Campacavallo è chiedere troppo. Pretendere troppo. Ci si è seduti. Tutti giù per terra, destre, sinistre, centri. I subordinati si sono insubordinati. La truppa è allo sbando e ci sguazza a suo piacimento. Gli ammutinati si riposano con solerzia o si affrettano con lentezza. Chi di loro aveva letto “Il deserto dei Tartari” di Buzzati, sapeva bene che ogni attesa sarebbe stata vana. Se il tema centrale del romanzo è quello della fuga del tempo, nella loro versione era la fuga dal tempo delle responsabilità. Nessun Messia era alle viste. Nessun Condottiero. Forse un Don Chisciotte della Mancia, un altro, l’ennesimo.

I feudatari talvolta giungono ai ferri corti: “Tu non sai chi sono io! E neppure tu sai chi io sono!”. Si accapigliano e, nel clima di totale anomia, giocano allo scaricabarile: “Questo non mi compete! Questo non compete neppure a me!”. “Allora rimettiamo tutto alla decisione del capo”. Ma il capo non c’è. Pare si sia preso una lunga vacanza in loco. Anche una sedia può diventare luogo di assenza. E l’onnipresenza può essere sintomo di questo stato di vacanza dal crogiolo delle cose che contano, dalle matasse che andrebbero sbrogliate.

“Qui comando io”. Il giovane imprenditore si vide contestare tre violazioni in una volta sola! Rimase basito dinanzi a quell’affermazione ducesca. Rientrava nella categoria dei deboli, di coloro che non godono di nessuna protezione, nei ranghi del popolino senza santi né dei in paradiso, per i quali le leggi si applicano senza misericordia e senso della giustizia, e non si interpretano.

“Qui comando io”, esclamò l’integerrimo bravo di manzoniana memoria. In un paese normale, civile e democratico, un bravo non comanda ma applica la norma di legge, interpretandola secondo intelligenza e correttezza. Non deve chiudere un occhio, ma aprire le orecchie ed ascoltare i bisogni della gente. Quando ad un giovane imprenditore gli appioppi una mazzata del genere, lo costringi a lasciare, a chiudere, ad emigrare altrove, dove c’è un minimo di tolleranza e di intelligenza. Perché l’applicazione della legge è questione di intelligenza. E l’ascolto attento delle ragioni altrui è questione di carità umana.

Ma forse l’obiettivo recondito è che il paese di Campacavallo si trasformi in un deserto, in un dormitorio, in un presidio di frontiera, in attesa di un Sancho Panza. Un posto per pochi intimi, dove continuare indisturbati a fare i cavoli propri, dove nessuno paga mai per gli errori che commette, dove mai nessuno ha il coraggio di ammettere la propria incapacità e di ritirarsi a vita privata a coltivare gli asparagi, dove persino uno sceriffo si crede un generale di corpo d’armata.

Siamo a Campacavallo, signori miei, dove ciascuno fa quello che gli passa per la testa, a seconda della fase lunare, e dove ogni regola cambia aspetto a seconda degli umori.

Ditemi voi se Campacavallo è un paese civile! 


 Salvatore Bernocco